Forte e potente come un pugno nello stomaco, Cobain arriva dritto al cuore: un simile impatto è prerogativa indiscussa di quelle rare opere tragicamente poetiche e al contempo reali (come nel caso in questione). Già le prime immagini che scorrono sullo schermo fanno subito pensare a un film che non lascerà indifferenti: Cobain scuote sin da principio le coscienze spesso troppo assonnate e travolge lo spettatore in un turbine di dolore e vita, amore e morte. È la bellezza e la magia del cinema, quand’esso è grande e atrocemente necessario.
Cobain (lo straordinario, bravissimo, incredibile Bas Keizer) è un ragazzino di appena 15 anni che ha già sulle spalle una situazione familiare del tutto disastrata. La madre, infatti, è una tossicodipendente che vive per strada, totalmente allo sbando, anche ora che è di nuovo incinta. Del padre nemmeno l’ombra. Tutto sembra cadere a pezzi nella vita del giovane Cobain eppure in lui la voglia di vita e la speranza di riuscire a salvare la madre sono più forti di tutto lo squallore che lo circonda. La sua preoccupazione principale è appunto la madre Mia: tenta disperatamente di redimerla e convincerla a cambiare vita soprattutto adesso che aspetta un altro figlio. Ma Mia non vuol saperne e i due, in seguito a un violento scontro, si allontanano e si perdono per un po’: ognuno prende la sua (cattiva?) strada. Il ragazzo trova ospitalità presso un ex di Mia, Wickmayer, sfruttatore di giovani prostitute. Vive con loro, assiste queste donne con le quali instaura un rapporto fatto di amicizia, confidenza, tenerezza e anche sesso. Diventano in qualche modo, la sua nuova famiglia, quella che non ha mai avuto prima di allora. Per Cobain questa nuova condizione rappresenta una sorta di apprendistato alla vita adulta, anche se lui adulto lo è da sempre. La madre è la bambina, lui l’adulto, in uno scambio di ruoli che gli consente di acquistare una maturità pagata a caro prezzo sulla sua pelle. Si fa fatica a credere che il ragazzo abbia solo 15 anni! E in effetti la sua assennatezza emerge del tutto quando, dopo il periodo di separazione, Mia lo cerca e torna da lui perché sempre più sola e disperata. Wickmayer (che lo ospita) la caccia via senza mezzi termini, ma non Cobain che sente forte addosso la responsabilità per questa madre che è una povera anima già perduta e decide di lasciare la sua nuova, bizzarra “famiglia” per dedicarsi completamente a Mia e al bambino che sta per nascere. Le immagini finali del film sono un vero e proprio colpo al cuore. Tutto il film (applausi alla regista, l’olandese Nanouk Leopold, qui al suo sesto lungometraggio) emana quella bellezza del reale, quel disperato fascino insito negli emarginati protagonisti di questa storia, tali da renderlo una lezione morale (e di vita) non da poco.
Sara Patera