12 anni schiavo è un film del 2013 diretto da Steve McQueen. Tratto dall’omonima autobiografia di Solomon Northup, opera del 1853, ha vinto il Premio Oscar come miglior film nel 2014. Gli interpreti principali sono Chiwetel Ejiofor nel ruolo del protagonista, Michael Fassbender, Benedict Cumberbatch, Paul Dano, Paul Giamatti, Brad Pitt, quest’ultimo anche produttore della pellicola, e Lupita Nyong’o, vincitrice dell’Oscar alla miglior attrice non protagonista.
Le riprese
Per dare maggiore realismo a 12 anni schiavo, gran parte delle riprese del film si sono svolte in vere piantagioni di cotone della Louisiana. Le riprese sono durate 35 giorni. Hanno preso avvio dalla piantagione Felicity (costruita nel 1846) a Vacherie. Proprio vicino al luogo in cui Northup trascorse i suoi anni di schiavitù. Per poi spostarsi alla piantagione Magnolia (datata 1858) di Schriever, alla piantagione Bocage di Darrow (costruita nel 1837) e a quella di Destrahan (risalente addirittura al 1787). A lavorare a fianco del regista Steve McQueen sono stati il direttore della fotografia Sean Bobbitt (che ha lavorato anche ad Hunger e Shame), lo scenografo Adam Stockhausen e la costumista Patricia Norris.
La trama di 12 anni schiavo
New York, 1841. Solomon Northup (Chiwetel Ejiofor), giovane afroamericano, viene avvicinato da due uomini che si fingono promotori di un circo interessati alle sue abilità da violinista. Dopo essere stato condotto con l’inganno fino a Washington, picchiato e drogato, Solomon viene venduto come schiavo da impiegare nelle piantagioni di cotone in Louisiana. Da quel momento il suo calvario durerà 12 anni, durante i quali passerà di padrone in padrone. Dalla tenuta del buon William Ford (Benedict Cumberbatch) a quella dell’aggressivo, cinico e alcolizzato Edwin Epps (Michael Fassbender), Solomon conoscerà un mondo di violenze, stenti, duro lavoro, umiliazioni e condizioni di vita al limite delle umane possibilità, dal quale sarà salvato grazie ad un incontro fortuito.
La recensione di 12 anni schiavo
Forte di due opere apprezzatissime, arriva il momento del grande salto per Steve McQueen, con un soggetto in grado di colpire nel profondo, impegnato, ma anche appetibile a un pubblico più vasto. Una prova di maturità superata con successo, anche se questo (inevitabile) passo lascia qualcosa per strada. Viene meno la componente sperimentale di Steve McQueen, ma l’estetica rimane notevole. Ad esempio la rappresentazione della natura, onnipresente, ricorda l’utilizzo che ne ha fatto negli anni Terrence Malick, questo anche grazie al fidato direttore della fotografia Sean Bobbitt, che proprio grazie alla sua collaborazione col regista ha trovato il lancio (meritatissimo) alla sua carriera.
In 12 anni schiavo c’è una grande attenzione per l’aspetto storico, per i costumi e luoghi. In più la colonna sonora, firmata da Hans Zimmer (auto candidatosi a collaborare con Steve McQueen dopo aver amato i suoi primi due lavori), sa impennarsi, diventando quasi soffocante (vedasi il traporto in nave). Ma anche toccare corde più lievi. Infine, si è evitato di ricorrere allo stilema della voce over, il che conferisce un’autenticità ancora più evidente all’insieme. E va aggiungersi ai tanti aspetti che rendono quest’opera di alto profilo e il suo autore tra i più attesi nei prossimi anni (anche se, pur lontano dai riflettori, era già così dopo Hunger.
Corposo e d’impatto assicurato.