Senso, film del 1954 diretto da Luchino Visconti, con Farley Granger e Alida Valli quali interpreti principali. Assistenti alla regia furono Francesco Rosi e Franco Zeffirelli, entrambi all’epoca quasi all’inizio della carriera.
Sinossi
Venezia, 1866. La nobildonna Livia Serpieri si innamora del tenente austriaco Franz Mahler e ne diventa l’amante. Il cugino di Livia, un patriota, consegna alla donna i fondi necessari all’insurrezione, ma lei li dà a Franz per corrompere un medico. Quando però raggiunge l’amante a Verona, lui la respinge. Livia allora lo denuncia come disertore.
Luchino Visconti si era ispirato dichiaratamente a un racconto di Camillo Boito (1836 – 1914) di cui egli volle conservare, dopo alcune incertezze della produzione, il titolo, sia pure trasformandone la vicenda, cosicché il singolare ritratto di donna che l’architetto, scrittore e accademico italiano delinea assume un considerevole spessore storico e anche emblematico, facendo confluire nella sua crisi personale la vicenda di un’intera società in uno dei momenti più critici del periodo post-unitario, non dissimile, forse, da quello che egli vedeva nell’Italia dei suoi anni, coll’affievolirsi degli gli slanci ideali che avevano animato poco tempo prima la lotta antifascista a cui aveva egli stesso partecipato.
Fotografia a colori di un mondo che stava per morire. Istantanea di un passato che non si nega una lettura del presente prima che la storia si annulli nella unicità borghese nella sua capacità di inglobare le altre classi alte e basse aristocratiche e popolari. Visconti aveva esordito aprendo una nuova era per il nostro cinema, aveva riportato al centro una realtà ambientale e vitale che rifiutava definitivamente i telefoni bianchi e gli amori scontati. Visconti non amava la borghesia perchè amava l’estremismo dei sentimenti, amava l’Ottocento mitteleuropeo, amava la perfezione dell’arte non ammetteva pressapochismi e mezze misure. La storia dell’Ottocento sarà fatta dalle persone dalle loro passioni dalla loro capacità di affrontare la vita come in un teatro portando alle estreme conseguenze le loro idee politiche o sentimentali e quando le sconfessino sono pronti a pagarne le conseguenze.
Volendo essere obiettivi non ci sono aggettivi per la recitazione di Alida Valli, patriota risorgimentale pronta a sacrificare suo marito, decisa a lasciare la vita coniugale e a rinunciare alla lotta rivoluzionaria del cugino per far scampare la guerra al suo tenente austriaco. Il finale sarà nero quando scoprirà la verità sul suo amante, il suo essere un disertore e un delatore: deciderà di denunciarlo ai suoi superiori e farlo condannare alla fucilazione. La donna tradita e traditrice non può più essere utile alla lotta del cugino, così come appare inutile un ritorno dal marito. L’ultima sua immagine non può che essere quella di un’amante sull’orlo della pazzia, che grida il nome del suo Franz. Un film che riempe lo schermo, chà da un senso alla parola melodramma, sfruttando tutte le possibilità estetiche e cromatiche, i colori accesi nei momenti della passione, il nero nel finale. Il paesaggio del Veneto non sarà mai più così protagonista eccessivo e espressivo.