Arriva nelle sale italiane grazie a Nexo Digital e Dynit, solo dal 6 e al 7 marzo Tokyo Ghoul, la trasposizione cinematografica dell’omonima serie a fumetti di Sui Ishida. Ambientato nella capitale nipponica, il film segue le avventure dello studente Ken Kaneki il quale scopre, in seguito ad un trapianto, di essere divenuto un mezzo ghoul, ovvero una creatura antropofaga, appartenente alla tradizione orientale. Dapprima sconvolto da questa rivelazione, il giovane cerca poi di comprendere meglio la sua nuova condizione grazie all’incontro con altri suoi simili, insieme ai quali deve difendersi da due agenti di polizia che danno loro la caccia.
Un live action che accanto alle consuete sequenze d’azione propone un approfondimento psicologico dei personaggi non comune, teso a rendere la storia maggiormente complessa e ricca di sfumature. Non sempre, tuttavia, tale scelta va a buon fine: spesso la ricchezza di rimandi e riferimenti alla serie a fumetti e a quella televisiva appesantisce la visione e priva lo spettatore del film della possibilità di comprendere appieno un macrotesto narrativo che si dipana attraverso narrazioni transmediali diverse (fumetto, televisione e cinema), le prime delle quali, per la loro natura seriale, offrono un maggior spazio per sviluppare la trama di un lungometraggio di estensione non certo esigua come questo.
Chi non è un cultore del manga di Sui Ishida, molto noto in patria e assai meno da noi, si trova spesso privo delle conoscenze necessarie ad orientarsi nel racconto delle avventure di questa creatura per metà umana e per l’altra cannibale e aggressiva, appartenente al folclore nipponico e pressoché sconosciuta in Occidente. Come spesso avviene in questi casi, la dimestichezza col macrotesto narrativo di cui il film costituisce solo un capitolo, è necessaria se non indispensabile per cogliere le allusioni sottese alle situazioni e alle battute dei personaggi. Il pubblico di riferimento è infatti quello dei lettori del fumetto e degli spettatori dei telefilm, già consapevole dei pregressi qui soltanto allusi per via indiretta. Si tratta, dunque, di un settore molto ristretto, specie nel nostro paese dove il genere del manga e più in generale dell’animazione giapponese non è mai andato oltre un pubblico infantile o comunque giovane.
Sul piano formale, Tokyo Ghoul non presenta particolari virtù, né tanto meno offre qualcosa di nuovo: le sequenze realizzate con la CGI sono infatti di modesta fattura, al di sotto di una soglia accettabile di credibilità, e privano l’opera di quello spessore e serietà cui tendeva attraverso il tentativo di approfondimento psicologico di cui si diceva: la resa delle creature fantastiche che popolano l’universo narrativo creato da Sui Ishida è spesso goffo e maldestro e lo spettatore più smaliziato non può far a meno di sorridere. Anche le sequenze d’azione, che vedono i personaggi affrontarsi a colpi di spada e compire virtuosistiche acrobazie aeree, si collocano a un livello inferiore rispetto a quanto di meglio abbia offerto il cinema nipponico negli ultimi anni, penalizzate come sono da una fotografia sempre troppo scura che sembra mascherare le ristrettezze da cui è stata evidentemente afflitta la realizzazione del film.
La recitazione degli attori, d’altro canto, spinge più di una volta lo spettatore (almeno quello occidentale) alla risata, togliendo al film ogni possibilità di esser preso sul serio e facendone uno dei risultati meno riusciti nell’animazione nipponica coeva. Chi apprezza il fumetto e i telefilm potrà divertirsi nel ritrovare sul grande schermo i personaggi e le situazioni raccontate da Ishida; difficilmente però chi non sia già un estimatore della serie potrà rimanere coinvolto o interessato da quanto il film di Kentarô Hagiwara propone.