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Claudio Caligari oggi avrebbe compiuto settant’anni: il ricordo di Taxi Drivers

Claudio Caligari oggi avrebbe compiuto settant’anni, e noi di Taxi Drivers, con tutto quel pubblico che non ha mai smesso di amarlo, non possiamo e non vogliamo dimenticare di onorarne il ricordo, per il suo valore di cineasta, artista e uomo

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Quel pomeriggio di un inverno di dieci anni fa eravamo davvero pochi al glorioso cineclub Alphaville di Roma ad attendere Claudio Caligari. Il programma prevedeva la proiezione del suo film di culto, Amore Tossico (1983), e un dibattito con il regista a seguire. Rivedere quel capolavoro, che senza dubbio – lo scrivente ne è persuaso – supera per intensità e realismo il sempre celebrato Christiane F. – Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino (1981) di Uli Edel, fu un piacere immenso, laddove il rito collettivo della sala forniva l’occasione di vivere per la prima volta, dopo tante visioni domestiche solitarie, la fruizione piena di un’opera che, più di altre, in un certo senso, necessitava del luogo istituzionale per eccellenza.

L’iperrealismo di Amore tossico (1983) non trova a tutt’oggi equivalenti che possano accostarvisi per intensità e profondità d’osservazione. Caligari riuscì a rappresentare con nitidezza il microcosmo della tossicodipendenza raccontandolo dall’interno. Da quella originale ricognizione emergevano l’umanità e la sofferenza di uomini e donne avviluppati in una spirale vorticosa, quella dell’eroina, che se da un lato creava un vuoto in cui non si poteva che sprofondare, dall’altro, paradossalmente, lo riempiva, dettando i tempi e i modi di uno stile di vita ben determinato. Procurarsi una dose ad ogni costo era il bisogno primario a partire da cui scandire il succedersi delle giornate.

Cesare, Michela, Enzo, Roberto, Loredana, Pamela, Teresa, Massimo, e tutti gli altri personaggi del film, si addentravano quotidianamente in un girone infernale fatto di prostitute, magnaccia, povertà e degrado. E colpisce ancor di più, allora, la loro capacità di non affondare completamente, mantenendo sempre un certo grado di dignità, nonostante tutto.

Ricordo chiaramente le risa a scena aperta, anche un po’ sguaiate, provocate dal leggendario slang parlato dai protagonisti, laddove al tipico dialetto romanesco si aggiungeva quel linguaggio utilizzato per indicare situazioni, intenzioni, cose da fare: una riformulazione assai creativa del lessico, cui Pier Paolo Pasolini avrebbe sicuramente riconosciuto valore culturale.

Dopo l’indimenticabile immagine finale, con il corpo di Cesare-Cristo ignobilmente deposto su una scalinata, e in sottofondo la penetrante, struggente, indimenticabile musica di Detto Mariano, che, davvero, riusciva a turbare anche i più disincantati, le luci si accesero, e Caligari, senza esitare, si raccontò con grande naturalezza, accompagnato da uno degli indimenticabili reduci, Roberto Stani, alias Ciopper.

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Caligari, posseduto da un flusso narrante non esorcizzabile, dipinse l’affresco di un’epoca, quella della fine degli anni Settanta, con i suoi paradigmi e cadenze, virtù e vizi, mostrando una certa nostalgia per un impegno politico che lo vide protagonista in quello che viene comunemente ricordato come Movimento del 1977.

Il regista, per meglio rievocare le atmosfere di quel periodo, mostrò un prezioso documento dal titolo La parte bassa in cui, nelle vesti di intervistatore, compieva un happening in una casa occupata da un manipolo di ragazzi dissidenti della Milano pre-craxiana. Certo non era il ’68, ma l’ultimo e sacrosanto tentativo di non cedere alla logica affaristica della colonizzazione socialista, dei nani, delle ballerine e dell’amaro Ramazzotti. Un documento prezioso che si inseriva a pieno titolo nell’ambito di quel cinema underground che al Filmstudio andava per la maggiore in quegli anni. Sulle pareti della casa occupata una scritta frettolosa troneggiava prepotentemente: “Ribellarsi è giusto, ribellarsi è possibile”.

Passando alle vicende squisitamente cinematografiche, il tono ironico usato per elencare le peripezie produttive che accompagnarono l’uscita del prodigioso film d’esordio parve un astuto modo per celare un’evidente amarezza, mai definitivamente superata. E comprensibilmente. Caligari si ritrovò nel 1983 al Festival di Venezia, in una sezione speciale, assieme a nomi del calibro di Fellini, Antonioni, Godard. Amore tossico, che Marco Ferreri aveva supervisionato e tenacemente sostenuto, riscosse un enorme successo, vincendo il premio De Sica. Sembrava la svolta. Invece, a causa di un produttore disonesto, il film venne distribuito nelle sale solo un anno dopo e con un numero esiguo di copie. Fu necessario aspettare quindici anni prima di vedere il secondo lungometraggio, L’odore della notte (1998), ispirato alle vicende della banda dell’Arancia Meccanica, anch’esso molto incisivo e traumatizzante.

Il resto della storia, compresa la realizzazione dell’ultimo, assai significativo film, Non essere Cattivo (2015), è ben nota. Ormai sono quasi tre anni che Claudio Caligari se n’è andato, non senza lasciare un’ultima, importantissima testimonianza. Oggi avrebbe compiuto settant’anni, e noi di Taxi Drivers, con tutto quel pubblico che non ha mai smesso di amarlo, non possiamo dimenticare di onorarne il ricordo, per il suo valore di cineasta, artista e uomo. La memoria non solo è un dovere, ma una necessità sentita che riempie di gioia chi ha la fortuna di poterla diffondere.

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