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Film da Vedere

Un piccione seduto su un ramo riflette sull’esistenza di Roy Andersson, il film vincitore del Leone d’oro a Venezia 71

La rigorosità dello stile, la radicalità è la maturità dello sguardo di Un piccione seduto su un ramo riflette sull'esistenza di Roy Andersson sono esemplari. Uno di quei film che rompono la monotonia di tanto cinema recente spesso decantato a sproposito

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Un piccione seduto su un ramo riflette sull’esistenza, un film del 2014 diretto da Roy Andersson, vincitore del Leone d’oro alla Mostra del Cinema di Venezia del 2014. Scritto e diretto dallo svedese Roy Andersson, Un piccione seduto su un ramo riflette sull’esistenza arriva a sette anni di distanza dal precedente film del regista (You, the Living) e chiude la trilogia «sull’essere un essere umano» con 39 piccoli teatri dell’assurdo.

Sinossi
Come moderni Don Chisciotte e Sancio Panza, Sam e Jonathan, due commessi viaggiatori, si confrontano sulle meraviglie caleidoscopiche dei destini umani. Un viaggio il loro che mostra la bellezza dei singoli momenti, la meschinità di altri, l’umorismo e la tragedia che è insita nell’uomo, la grandezza della vita così come la fragilità dell’essere umano.

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Per  la prima volta chi scrive si è imbattuto nel cinema dello svedese Roy Andersson e se non è stato amore a prima vista poco ci è mancato. Il regista, che con questo film chiude una trilogia (insieme a Canzoni dal secondo piano You, the living) sulla condizione umana, dimostra di possedere una profonda conoscenza dello spazio cinematografico, che padroneggia assai bene attraverso l’uso di inquadrature fisse in cui a predominare è una sempre presente profondità di campo che, oltre ad offrire allo spettatore la possibilità di scorrazzare libero sulla superficie del profilmico, incarna esemplarmente il concetto di cristallo che Gilles Deleuze postulava nella sua leggendaria ricognizione nel cinema, L’immagine tempo.

Come non sussultare sulla sedia quando Carlo XII e le sue truppe in secondo piano, all’esterno, ma ben messe a fuoco, irrompono nel bar, percorrendo uno spazio che, evidentemente, non è solo fisico, ma soprattutto temporale? Si assiste all’originaria scissione del tempo in cronologico e non. Lo spettatore appassionato potrebbe avere il sospetto di aver allucinato, invece no, Roy Andersson l’ha mostrato, l’ha fatto vedere, un po’ come Krzysztof Kieślowski, nell’incantevole Trois couleurs: Rouge (1994), dove l’immagine del volto di Irene Jacobi da mero prodotto di consumo mutava valenza e diventava, alla fine del film, l’emblema dell’adesione ai valori della bandiera francese. E allora siamo fortemente convocati a registrare gli slittamenti spazio temporali, a vagare nel montaggio interno all’inquadratura, a leggere tra le  pieghe dei visi pietrificati e imbiancati dei protagonisti, che fanno risuonare per la loro laconicità e rassegnazione quelli di Aki Kaurismäki.  Il color pastello pistacchio della fotografia vela gli avvenimenti e i personaggi, è come se un’altra Storia fosse continuamente presente, nel senso che l’agire umano sembra non trovare mai una vera svolta, aggrovigliandosi in una piega che è pronta a srotolarsi. Un eterno ritorno? No, più probabilmente si tratta dei cardini della condizione umana, delle sue idiosincrasie insuperabili, di quei tratti peculiari che trascendendo l’attuale aprono un varco al virtuale, a una temporalità che non è più quella della conoscenza, della tesaurizzazione delle esperienze, ma un flusso interiore inarrestabile, capace di dare corpo a immagini inedite: ‘rappresentare l’irrapresentabile in quanto irrapresentabile’, senza collassare nella ricaduta idolatrica del prototipo.

C’è qualcosa di estremamente ridicolo nella drammaticità della morte, e la prima parte del film, scandita in tre parti, mostra proprio come il momento fatidico comporti molte situazioni grottesche, surreali: un uomo muore d’infarto mentre tenta di aprire una bottiglia di vino; una signora sul letto di ospedale stringe tra le braccia una borsa, che vuole portare con sé nell’al di là; un signore muore dopo aver ordinato una birra e un panino, e gli avventori sono invitati a consumare gratuitamente ciò che è stato già pagato.

C’è in questo sguardo di Andersson un’ironia impietosa, che sospende l’operatività dell’ordine simbolico, facendo filtrate un’eccedenza che viene immediatamente ricodificata, in quanto ‘escrescenza’. La rigorosità dello stile, la maturità dello sguardo e la radicalità di questa opera sono esemplari, mostrano l’esito di un cammino artistico articolato e complesso, che invoglia a recuperare i precedenti tasselli della cinematografia del regista svedese.

Insomma, Un piccione seduto su un ramo riflette sull’esistenza è uno di quei film che rompono la monotonia di tanto cinema recente spesso decantato a sproposito, invitando lo spettatore a rinnovare lo sguardo, a guardarsi dentro, a provare ad ‘ascoltare’ l’immagine. Da non perdere.

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Un piccione seduto su un ramo riflette sull'esistenza

  • Anno: 2014
  • Durata: 100'
  • Distribuzione: Lucky Red, CG Entertainment
  • Genere: Commedia, Drammatico
  • Nazionalita: Svezia
  • Regia: Roy Andersson
  • Data di uscita: 19-February-2015