Valhalla Rising, un film del 2009 diretto da Nicolas Winding Refn al suo settimo film, il terzo in lingua inglese; con questo film il regista torna a collaborare con l’attore Mads Mikkelsen dopo i primi due capitoli della Trilogia Pusher (Pusher – L’inizio e Pusher II – Sangue sulle mie mani) e Bleeder. È stato presentato nella selezione ufficiale del Toronto International Film Festival e fuori concorso alla 66ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia.
Sinossi
Per anni, One-Eye, un guerriero muto dalla forza sovrumana, è stato tenuto prigioniero dal capitano Barde. Aiutato da un ragazzo, Are, One-Eye uccide il suo sequestratore e i due scappano insieme dando così inizio a un viaggio nel cuore delle tenebre. In questo viaggio, One-Eye e Are salgono a bordo di una nave vichinga che però viene subito inghiottita da una nebbia senza fine che si dissiperà nel momento in cui i due protagonisti avvistarono una terra sconosciuta. Mentre il nuovo mondo rivela i suoi segreti e i vichinghi vanno incontro a un orrendo destino, One-Eye scopre il vero se stesso.
La recensione di Taxi Drivers (Luca Biscontini)
Nicolas Winding Refn stupisce, smarca e disorienta tutti quelli che, dopo l’abbuffata di ultraviolenza di Bronson, si aspettavano un film che si collocasse sulla scia appena lasciata dalle gesta del detenuto più pericoloso della Gran Bretagna. Il regista danese, invece, come già aveva fatto con Fear X, esperimento parzialmente riuscito, si svincola dal genere e costruisce un lungometraggio anomalo, visionario, allucinante, in cui la tradizione storica vichinga che fa da sfondo è solo il pretesto per dare corpo a un’immagine lisergica, plumbea, che se ne infischia di compiacere lo spettatore. Lars Von Trier, Herzog e soprattutto il Tarkovskji di Stalker risuonano in questa pellicola, dove Refn si muove tra il mitologico e il fantascientifico.
Suddiviso in cinque parti, e ambientato in un imprecisato medioevo scandinavo, Valhalla rising narra la storia di One eye (l’impietrito Mads Mikkelsen), guerriero dalla forza sovrumana, indomita, animale, ma pura, e del suo viaggio assieme a dei vichinghi ‘cristiani’ alla ricerca della terra santa. One eye (guercio) è muto, a parlare per lui c’è un ragazzino. Siamo di nuovo davanti all’innocenza della violenza, al rapporto originario tra Uomo e Natura e alla corruzione che la religione (cristiana) ha introdotto in questa relazione. Il guerriero viene dall’inferno, o forse dal regno dei morti, è più che umano, quasi un Edipo a Colono; ha delle visioni anticipatrici, da profeta, come Tiresia, virate in un rosso sanguigno grondante morte, colore questo che ritorna spesso nelle pellicole di Refn (che ha più volte ricordato di essere daltonico). E poi il viaggio in mare, tra nebbie impenetrabili e i deliri di un equipaggio in ostaggio a una rotta ignota, fino al raggiungimento di una terra enigmatica, una zona alla Stalker, simile all’ostile paesaggio amazzonico percorso dall’Aguirre di Herzog.
La colonizzazione fallisce, perché non c’è nulla da saccheggiare, ma solo lande desolate decorate dai resti dei sacrifici umani offerti dagli aborigeni ai loro dei. Le frecce di pietra scagliate dalle rive uccidono gli invasori sulla loro piccola imbarcazione. La bevanda offerta dal capo missione ai sopravvissuti provoca un effetto allucinatorio, e assistiamo a una prolungata sequenza in cui il ralenti restituisce l’alterazione della percezione della realtà vissuta dal gruppo, che si produce in gesti deliranti, carichi di simbolismi. Infine il sacrificio: dopo che tutti i crociati sono morti, One eye depone le armi e si lascia percuotere dagli indigeni, che spuntano fuori, come rocce dal fiume, completamenti ricoperti di terra rossa, quasi fossero un tutt’uno con la Natura.
Suggerimento per una buona visione: evitare di cercare significati nascosti (che pure ci sono); è preferibile rimettersi al significante messo in circolo da Refn e lasciarsene attraversare.