Ripley’s Home Video prosegue il percorso di approfondimento dell’opera di Werner Herzog proponendo in un’edizione a due dischi l’ingiustamente poco conosciuto Dove sognano le formiche verdi (1984), film sempre ed erroneamente catalogato nel genere documentario. Il regista tedesco, nei primi anni settanta, si trovava in Australia al Perth Film Festival; fu in quell’occasione che venne a conoscenza della battaglia tra alcuni aborigeni e una società svizzera che si occupava dell’estrazione della bauxite nella parte nord-ovest del paese. A quel punto, mosso dalla viva esigenza di fornire una testimonianza che rendesse noto il genocidio culturale che la ‘rincorsa al progresso’, e all’accaparramento di ogni risorsa del sottosuolo, stava gaiamente realizzando, decise di reclutare quegli stessi autoctoni, per mettere in scena un’adeguata rappresentazione di ciò che stava accadendo. Il film in questione, infatti, è una ricostruzione a posteriori, e quindi un’interpretazione, di ciò che si era effettivamente verificato poco tempo prima.
Ciò che Herzog, con una regia assai minimale, tenta di far emergere è la fatale distruzione del ‘sacro’ che la ricerca forsennata del profitto, in quegli anni più che mai lanciata in una folle corsa, stava compiendo, portando a termine una devastante e miope colonizzazione. I popoli originari d’Australia, ormai quasi totalmente scomparsi, intrattenevano un rapporto viscerale con la propria terra: conscio dell’impossibilità di cogliere fino in fondo la profondità e la millenaria saggezza di culture così distanti dalla nostra, il regista, in maniera a dir poco geniale, inventò la storia delle ‘formiche verdi che sognano’, per sottolineare il mistero e l’eccedenza dell’essenza di quei territori. E per dare meglio corpo a questa fantasia mise in scena un aeroplano, che, riproducendo mimeticamente e simbolicamente il funesto destino dei ‘sacri insetti’, permise di realizzare un poeticissimo, seppur molto amaro, finale, divenendo la perfetta metafora della sopraffazione che i bianchi, forti di un diritto che glielo consentiva, non esitarono a compiere.
Werner Herzog, è noto, è sempre stato attratto dalla Natura, laddove essa nella sua cinematografia (Aguirre, furore di Dio, Fitzcarraldo, Cobra Verde, Fata Morgana) costituisce una riserva di senso essenziale, ogni volta messa a repentaglio dalle invasioni degli uomini occidentali, costantemente mossi dal desiderio di imporre il proprio dominio politico, economico, culturale e religioso. I paesaggi impervi e magnifici, maestosi e vulnerabili, che, nella loro purezza, ha continuamente immortalato, diventano l’inequivocabile simbolo di un ‘surplus di significato’ – a rigore, sarebbe opportuno definirlo ‘significante’ – che ogni volta circola nelle sue opere, inducendo quasi lo spettatore ad assumere un atteggiamento di deferenza rispetto a un sentimento del sacro magnificamente evocato. Non fa eccezione, evidentemente, anzi forse è, in questo senso, uno dei suoi film più significativi, Dove sognano le formiche verdi, in cui la questione della ‘profanazione’ viene affrontata in modo diretto, senza l’esigenza di un’articolata messa in scena, proprio perché Herzog avvertì un viscerale e immediato bisogno di capire cosa stesse accadendo, fornendo contemporaneamente al pubblico la possibilità di venirne a conoscenza.
Corredano il prezioso film del 1984, due documentari. Il primo è Rintocchi dal profondo (1993), in cui sono mostrati diversi riti, usi e personaggi legati alla religiosità russa: tra di essi spiccano un suonatore di campane, un guaritore dello spirito e un giovane che si veste e agisce come Gesù Cristo, predicando in maniera assi simile. In questo caso, come suggerisce il sottotitolo del film, Fede e superstizione in Russia, il regista volle andare a rintracciare quelle antiche tradizioni ‘animiste’ ancora praticate nelle campagne. Il secondo, realizzato per la televisione, è Demoni e cristiani nel nuovo mondo (2000), in cui lo sguardo è rivolto alla spiritualità della popolazione del Guatemala. Partendo dalle informazioni sulla religione degli aztechi contenute nel Codice Telleriano-Remensis, si ricostruisce il percorso attraverso cui alcune divinità, concezioni e rituali precolombiani piuttosto cruenti siano sopravvissuti anche dopo la conversione al cristianesimo di quelle zone. È infine presente nel secondo disco Io sono i miei film, diretto da Christian Weisenborn e Erwin Keusch, documentario in cui viene tracciato un percorso della carriera di Werner Herzog, dagli esordi fino alle opere degli anni Settanta, attraverso alcune immagini tratte dai suoi principali lavori.
Dove sognano le formiche verdi (assieme agli altri tre documentari messi a disposizione da Ripley’s Home Video) è un film da non perdere per chi volesse approfondire l’opera di Herzog e, più in generale, fare un’esperienza di un cinema irrepetibile, che non ha esitato a porsi frontalmente rispetto ad alcune questioni la cui urgenza non poteva essere in alcun modo disattesa.