Un minuto di buio. Un intervento a cuore aperto. Steven è un cardiochirurgo, è sposato con Anna, oftalmologa e hanno due bambini Kim e Bob. Martin è un adolescente che Steven frequenta abitualmente e non si comprende quali siano i reali rapporti. La famiglia borghese sembra convenzionale e l’ambiente nel quale vivono confortevole. Solo il ragazzo ha le caratteristiche di un intruso, anche dal punto di vista estetico: la sua continua presenza si esplicita poco alla volta. Incombe come un corpo estraneo in una realtà disincarnata, tessendo i codici di un imprevedibile destino.
La musica è decisamente invadente; lo Stabat Mater di Schubert preannuncia quello che accadrà, tragicamente contestualizzato da un humour inestricabile. Le riprese accompagnano la visione come se un occhio esterno osservasse la scena; ma non è il divino che osserva: Dio è morto direbbe Nietzsche, ma il fantasma sacrificale no.
Nel frattempo comincia a compiersi il racconto mitologico; la presenza di Artemide che impone ad Agamennone l’uccisione di Ifigenia entra nella casa del chirurgo per mano del ragazzo al quale è morto il padre in seguito ad un intervento al cuore. Ecco che la storia comincia a dipanarsi e la maledizione condita con la vendetta a compiersi. Bob e Kim saranno colpiti da una paralisi alle gambe e non appena arriverà il sanguinamento dagli occhi la morte non esiterà a sopraggiungere. Nessuna entità interverrà a fermare Steven dal sacrificio come fece il dio biblico con Isacco e Giacobbe.
Gli dei greci sono inflessibili, Yorgos Lanthimos lo sa bene, la vita è tragica e, come diceva Sileno, la cosa più desiderabile per l’uomo è “non essere nato, non essere, essere niente”. Ma implacabili saranno Anna e Steven: la famiglia è il nucleo propulsore che giustifica qualunque parabola morale, profana, sadica, crudele con quella vis comica che solo l’idiozia perbenista riesce a perpetrare.
Con The Killing of a Sacred Deer Lanthimos si diverte, scruta, osserva, racconta, tace, dice di non sapere, ma finge spudoratamente. La sua non è provocazione ma artistica rappresentazione della tragica piccolezza umana, afflitta da una ridicola e inconsapevole inezia che la accompagna senza guida. Il regista costruisce alla perfezione un Eyes wide shut parte seconda: Steven è un chirurgo, Bill era un medico, Alice-Anna è sempre nel Doppio sogno di Schnitzler ma qui l’oftalmologa è la metafora di quegli occhi, così ostinatamente chiusi, che si schiudono di fronte alla plasticità del sacrificio e della vendetta. D’altronde con il marito, al quale si sottopone con una sessualità meccanica, ricostruisce il tessuto familiare: Steven ormai ha interiorizzato la colpa, e il Bill che si divertiva dandosi alle orge e consegnandosi al peccato è diventato un uomo cupo, e si è consegnato alla responsabilità del suo atto e di conseguenza a sprofondare nell’azione inconscia del Super-io.
Non capisce comunque che è passato dall’obbligazione compulsiva del godimento (Godi!) alla obbligazione del sacrificio (Devi!), direbbe Lacan. Steven deve aiutare Martin, deve accogliere le richieste che il manipolatore gli impone, ma perché? Steven oltre ad avergli ucciso il padre si è anche rifiutato di accoppiarsi con la madre…
In The Killing of a Sacred Deer l’inedita dialettica servo-padrone che si delinea non si riscatta hegelianamente nel servo che diviene padrone del padrone, perché qui il padrone e il servo sono la stessa cosa, e il sacrificio di sé è finalizzato a un incremento di profitto laddove il plusvalore è la ricompensa. Il compimento del sacrificio deve generare un guadagno: liberare il soggetto dall’angoscia della scelta e dal peso della propria libertà.
Come Bill, Steven è un idiota, non sa scegliere, non sa decidere e Anna-Alice è il fantasma del suo super-io. Entrambi devono sacrificare se stessi per provare a non perdere nulla e tentare di sottrarre la propria esistenza al suo carattere inguaribilmente mancante e finito. Devono liberarsi dal peso della loro libertà, facendosi guidare da un padrone: si identificano pertanto alla causa per giustificare le loro azioni, un’identificazione ipnotica, una pura, unica, granitica “ragione”, priva di dubbi, pienamente sacrificale. L’identificazione fondamentalista a una causa: salvare il salvabile. Devono ‘disfarsi del peso della libertà’, assoggettarsi ad una ‘legge’ che imponga l’obbedienza e giustifichi la reazione. È il loro specifico ‘masochismo morale’: la sofferenza è il vero godimento, e nel sacrificio c’è la possibilità inconscia del riscatto aggirando il pericolo della scelta.
Come diceva Freud, la fascinazione del sacrificio non solo non estingue la vendetta ma del suo circolo vizioso si nutre avidamente.
Yorgos Lanthimos ha confezionato il suo sacrificio: ha indossato lo sguardo del Super-io, ha lacerato ogni velo, ha penetrato ogni orifizio, ha infilzato da parte a parte ogni residuo umano, ne ha raccolto i frammenti e lo ha spietatamente fotografato. Lo ha ricomposto chirurgicamente per effettuare l’esame autoptico. Referto: morte celebrale.