Le malattie che colpiscono e marcano indissolubilmente l’aspetto fisico di una persona sono sempre state motivo di esclusione e discriminazione. Pellicole come Freaks, The Elephant Man di David Lynch e Lo strano caso di Benjamin Button ne sono un esempio lampante. Profondamente colpito dai sentimenti contrastanti dei soggetti anomali, il regista Stephen Chbosky – già sceneggiatore del riuscito La bella e la bestia – firma una riuscita trasposizione cinematografica di Wonder, il best seller redatto da R. J. Palacio.
Il diverso in questo caso è un bambino di appena 10 anni che ha avuto bisogno di ben 27 operazioni chirurgiche per rendere il suo aspetto non soltanto meno deforme, ma anche più digeribile alla vista altrui. Dopo aver vissuto per tutta la sua giovane vita sotto una campana di vetro, protetto dalle amorevoli attenzioni dei suoi genitori (una bravissima Julia Roberts e un istrionico Owen Wilson), il piccolo August (lo strepitoso Jacob Tremblay di Room) inizia controvoglia la scuola media, confrontandosi con quella cattiveria schietta e civettuola che solo i bambini possiedono. Diventando subito preda delle malelingue e dei bulletti della scuola, Auggie conosce il mondo vero, senza filtri, quello in cui tutti sono accecati dalle apparenze e risultano indifferenti alla grandezza dei propri pregi o alla buonafede delle proprie intenzioni.
Dal giorno della sua nascita, August è stato il sole della sua famiglia, attorno a cui hanno iniziato a ruotare tutti i pianeti orbitanti, la madre, il padre e la sorella. Come effetto collaterale, è divenuto il centro propulsore delle loro vite, quello per cui tutti hanno rinunciato ai propri sogni, fingendo di non accorgersi che aveva bisogno di indossare il casco da astronauta – proprio come Linus con la sua famosa copertina colorata – per sentirsi al sicuro, per combattere le sue battaglie quotidiane, per affacciarsi alla vita come un bambino normale.
Chbosky sceglie di raccontare la storia da diversi punti di vista, lasciando agli spettatori la possibilità di trarre autonomamente le proprie conclusioni. Nonostante la sceneggiatura presenti qualche piccolo buco qua e là e la pellicola risulti pilotata verso il buonismo sin dalle prime inquadrature, il merito di Wonder è sicuramente quello di suscitare un’attenta riflessione sulle casualità della vita, non sempre corretta, non sempre felice, non sempre giusta. Essendo tutti parte di una sorta di roulette russa, quindi, bisognerebbe imparare ad apprezzare ciò che si possiede e cercare di rapportarsi agli altri guardando oltre l’apparenza. Perché, come insegna il Piccolo Principe, l’essenziale è invisibile agli occhi.