Tutti i soldi del mondo (All the Money in the World) è un film del 2017 diretto e co-prodotto da Ridley Scott.
Tutti i soldi del mondo di Ridley Scott
Tratto dall’omonimo saggio di John Pearson, il film racconta di un celebre fatto di cronaca degli anni Settanta, ovvero il sequestro di John Paul Getty III, nipote dell’allora uomo più ricco del mondo, avvenuto a Roma nel 1973. La pellicola è interpretata da Michelle Williams, Mark Wahlberg e Christopher Plummer, quest’ultimo nel ruolo dell’inflessibile miliardario Jean Paul Getty, nonno di Getty III. Il film è noto anche per la controversa operazione volta ad eliminare dal film Kevin Spacey, che originariamente vi interpretava J. Paul Getty, a causa delle accuse di molestie emerse nei suoi confronti: le scene da lui girate sono state infatti tagliate e girate nuovamente con Plummer al suo posto meno di un mese prima dell’uscita del film.
La trama
Nel 1973 a Roma viene rapito dalla ‘ndrangheta il giovane John Paul Getty III, nipote del petroliere Jean Paul Getty, l’uomo più ricco del mondo. Mentre il nonno si rifiuta di pagare il cospicuo riscatto, la madre Gail è costretta dalle circostanze a fare squadra con Fletcher Chase, un ex negoziatore della Cia.
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Lasciamo fuori campo (per dirla cinematograficamente) il discutibile antefatto che ne ha ammantato la realizzazione, che è materia su cui non è possibile esprimere un giudizio che abbia qualche consistenza.
Ciò che si può dire di Tutti i soldi del mondo di Ridley Scott, lungometraggio liberamente tratto dal romanzo Painfully Rich (1995) di John Pearson, è che in esso, al di là dell’effettivo valore, emerge una riflessione significativa sull’ordine contemporaneo delle cose. Ogni forma di relazione è già da sempre investita dalla dimensione economica (una logica di scambio), nonché da una serie di rapporti di forza che ne scandiscono le dinamiche interne.
Paul Getty (Christopher Plummer), un redivivo Charles Foster Kane di wellesiana memoria, è un dittatore che esercita indiscriminatamente il proprio potere. È naturalmente svincolato da qualsiasi legame che possa ridurne la capacità decisionale. Emette ordini e, quando si ritrova in un’iperbolica, quanto inaspettata, inversione di ruoli, non cede alcuna quota del proprio dominio. Anzi è intimamente persuaso che tutto possa essere regolato attraverso un’attenta gestione, alla stregua di qualsiasi altro affare.
Durante le due ore e un quarto di visione la componente emotiva viene prontamente ri-contabilizzata e, dunque, neutralizzata. Insomma, al netto della retorica che spesso avvolge (e ha avvolto) episodi come quelli narrati nel film (nella fattispecie i sequestri), Scott pare voler con forza affermare che non esiste uno spazio aneconomico dell’esistente. L’onticizzazione si è definitivamente compiuta, e, allora, non resta che accordarsi sul prezzo da pagare.
Cosa si è disposti a fare?
Getty è disposto a mettere a repentaglio la vita del pur amato nipote (Charlie Plummer) giacché la cifra richiesta è fuori misura. Il regista, che ha deciso di realizzare il film sull’onda dell’entusiasmo provocato dalla lettura della sceneggiatura di David Scarpa, probabilmente ha subito il fascino irresistibile di quella realpolitik che amministra anche i più profondi e complessi meccanismi della vita psichica, interiore. D’altronde c’è ancora qualcuno così ingenuo da credere che dietro la manifestazione dei fenomeni ci sia una causa invisibile e, dunque, più consistente?
Paul Getty (così come il suo antesignano Charles Foster Kane) acquista tanti e notevolissimi oggetti d’arte. Si tratta dell’unico investimento che offra la contropartita di un sollievo significativo per l’anima. È solo nella bellezza artistica che filtra miracolosamente un tempo altro, una durata che lenisce la prosaicità di un ordine simbolico esanime. Essa trascende la retorica di una soggettività ancora impastoiata in una trama inconsistente d’immaginari rapporti, i quali non fanno altro che sostenere le relazioni di forza dominanti,
Non che si vogliano qui negare l’eccedenza e il valore dell’Amore. Ma è proprio la necessità di liberarne fino in fondo la Potenza che obbliga a ripensare le dinamiche affettive fino in fondo, sganciandole definitivamente dalla retorica dialettica (familistica) in favore di un più ampio orizzonte comunitario.
La conclusione di Tutti i soldi del mondo
Detto, in altri termini: perché Paul Getty avrebbe dovuto sborsare la somma richiesta dai rapitori del nipote? Solo in virtù di un aprioristico vincolo famigliare? La famiglia non trascende i rapporti economici, anzi è proprio ciò che ne costituisce uno degli assi portanti.
Non si vuole persuadere alcuno sull’opportunità dell’interpretazione fornita. Ma schiacciare Tutti i soldi del mondo su un’analisi che non tenga conto, come si diceva poc’anzi, del consistente fuori campo cui allude sarebbe un’operazione miope. E, tra l’altro, costituirebbe un’ingenua svalutazione dell’intelligenza di un regista come Ridley Scott.
Da segnalare, infine, la buona prestazione del nostro Marco Leonardi. Nel ruolo dell’organizzatore del “secondo sequestro”, dimostra ancora una volta, pur avendo a disposizione poche sequenze, il suo indubbio valore di interprete.