Bella e perduta è un film del 2015 diretto da Pietro Marcello, presentato in anteprima nazionale al Festival di Torino il 18 novembre 2015. Il film è uscito nelle sale italiane il 19 novembre 2015, distribuito da Istituto Luce Cinecittà. Con Sergio Vitolo, Gesuino Pittalis, Tommaso Cestrone e la voce di Elio Germano.
Il film è disponibile su RaiPlay.
Sinossi
Tommaso, semplice pastore che da anni, gratuitamente, custodisce la Reggia di Carditello, residenza creata dai Borboni nella metà del Settecento, originariamente destinata alle attività agricole, disgraziatamente abbandonata all’incuria dopo l’arrivo dei Savoia, e che, fino a poco tempo fa (prima del recente intervento delle istituzioni campane), giaceva ancora in uno stato di assoluto degrado. Trova un giorno, come se fosse un novello Edipo, un cucciolo maschio di bufalo legato e decide di strapparlo al suo tragico destino di morte, portandolo con sé.
Purtroppo, il mite pastore muore (fatto realmente accaduto) la notte di Natale, ed è a questo punto che interviene Pulcinella, che, prima di essere una maschera della Commedia dell’Arte, nella cultura etrusca era uno psicopompo, ossia una semi divinità che ascolta i morti per parlare ai vivi, riferendo i messaggi dell’Oltretomba. Non solo: Sarchiapone, il giovane bufalo, parla (con la voce di Elio Germano), e ci racconta del suo stato di schiavitù presso gli uomini, che lo accomuna al suo salvatore, servo degli Immortali, con il fatale destino di eseguirne le direttive.
A questo punto comincia un viaggio che conduce i due verso il nord del paese, in una ricognizione del territorio che rivela lo stato di abbandono in cui versa, una bellezza, dunque, non valorizzata, drammaticamente lasciata al proprio destino, in una parola, “perduta”. Nel loro girovagare incontrano il pastore Gesuino, che, dopo l’accoglienza iniziale, svela il reale intento di restituire il piccolo quadrupede al suo destino di morte, costringendo Pulcinella a un’amara presa di coscienza, dato che non può evitare che il funesto esito si compia.
La recensione di Taxi Drivers (Luca Biscontini)
L’inconsueta soggettiva di una bufala, che drammaticamente sbanda all’interno dell’angusto cunicolo del ‘circuito di morte’ di un allevamento, ci introduce subito nel vivo delle questioni sollevate dall’ultima opera di Pietro Marcello, Bella e perduta, un’ibridazione di generi, dal documentario al realismo magico, passando per i dichiarati toni della fiaba, in cui a essere affrontati sono temi che spaziano dalla più scottante attualità all’ancestrale rapporto dell’Uomo con la Natura, attraverso la tessitura di un legame che amalgama felicemente oggetti ossimorici, alternando, dunque, poesia e prosa.
Dunque, Marcello, insieme allo sceneggiatore Maurizio Braucci, compone un’opera complessa, articolata, in cui i vari registri utilizzati configurano una riflessione profonda che poggia sulla consapevolezza di aver smarrito il senso del Sacro, fortemente connesso alla dimensione primordiale della Natura.
Il film è tutto un evocare un’Origine che custodisce una riserva inesauribile di senso, senza la quale si rimane irrimediabilmente esposti alla colonizzazione di un mondo drammaticamente precipitato in una condizione tragicomica, in cui non è dato poter accedere alla ricomposizione di una frammentarietà, che disorienta e annichilisce, laddove è venuta meno quella speranza che si dà a partire dalla possibilità di esperire il libero arbitrio. Tant’è che assistiamo a un’intensa sequenza in cui Pulcinella, di fronte all’albero della Morte, si toglie la maschera, perdendo le sue capacità soprannaturali, smarcandosi però dallo stato di sottomissione rispetto a un compito che lo riduce a mero esecutore dell’altrui volontà.
Una scena da ricordare
Da segnalare anche l’altra incantevole scena in cui sempre Pulcinella (interpretato da un ottimo Sergio Vitolo) stringe le mani di una contadina incontrata sul suo cammino: la bellezza antica dei volti dei due personaggi, ripresi nell’austera semplicità di un campo-controcampo, ricorda la fierezza rurale delle espressioni catturate dalla macchina da presa di Pier Paolo Pasolini (il primo riferimento che viene in mente è Edipo re), accostamento che viene naturale e che sottolinea la dimensione poetico-prosaica (stando sempre al concetto di discorso libero indiretto del poeta di Casarsa) fortemente presente nell’opera del regista casertano.