Su Suspiria, celebratissimo capolavoro di Dario Argento, si sono versati fiumi di inchiostro, per decantarne la bellezza, l’originalità, soprattutto in riferimento alle tecniche fotografiche utilizzate (in questo senso la collaborazione tra il grande Luciano Tovoli e Argento è stata più che mai proficua), nonché le atmosfere inquietanti e affascinanti, laddove il film del 1977 (seguito al clamoroso successo di Profondo Rosso) ha riformato indelebilmente l’immaginario cinematografico.
Dunque, chi scrive cercherà di illuminare alcune ‘zone’ lasciate in ombra, nel tentativo, forse ardito e destinato al fallimento, di aprire qualche piccolo, nuovo spiraglio interpretativo. In tal senso, un particolare che provoca non poche suggestioni, e dal quale è senz’altro opportuno partire, è fornito dalla circostanza che una delle location in cui è stato girato il film è la Foresta Nera, un’area montuosa situata nella parte sud-occidentale della Germania, nel Land del Baden-Württemberg, divenuta molto nota in quanto fu uno dei luoghi preferiti dal grande filosofo tedesco Martin Heidegger, come messo in luce dal testo Il messaggero della Foresta Nera pubblicato da Fréderic de Towarnicki. Insomma, là dove il pensatore dell’Essere si perdeva in estenuanti elucubrazioni sul ‘destino del linguaggio’, sulla ‘questione della tecnica’ (tema tuttora decisivo) e sul rapporto del Dasein con il ‘mondo’, lì Dario Argento metteva in scena la propria visione del Male, in cerca di un’ispirazione e di quelle suggestioni che gli consentissero di dare felicemente corpo ai fantasmi che lo animavano e che lo avevano spinto a girovagare per le capitali del nord Europa per trovare gli scenari adatti al suo racconto.
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All’inizio del film si vede la giovane Susy Benner (l’attrice e cantante Jessica Harper vista in alcuni film di Woody Allen, Brian De Palma, Steven Spielberg, nonché coinvolta nel discussissimo remake di Luca Guadagnino) muoversi negli spazi anonimi e minimali dell’aeroporto di Friburgo: il Male è già lì ad attenderla, ancor prima che si lasci suo malgrado coinvolgere dalla compagna Sarah (la mai troppo sufficientemente celebrata Stefania Casini) nello svelamento dell’angosciante segreto che cova nella prestigiosa Accademia di danza cui è diretta. Le porte automatiche si aprono e già è ben udibile il rumore di una presenza che, va da sé, è anche un’assenza. Questo esser presente senza apparire, senza attualizzarsi, senza manifestarsi in quanto fenomeno rende gli spettri evocati da Argento una Potenza, è proprio il caso di dire, che riesce a farsi percepire pur non mostrandosi. È la giustapposizione successiva delle belle e inquietanti musiche dei Goblin a segnalare allo spettatore questo scarto. Tale prologo si congiunge funambolicamente con l’epilogo del film (crediamo di non svelare nulla, visto che Suspiria ha compiuto 40 anni), nel quale, dopo esser giunta nelle stanza nascosta in cui risiede la strega centenaria Helena Markos, Susy viene assalita dalla ormai defunta Sarah, giacché l’incorporea e malvagia entità ha ritenuto opportuno assumere quelle fattezze per uccidere l’invadente e curiosa studentessa americana. È nell’informe che trova origine la ‘nuova’ visione del terrore di Dario Argento, il quale, dopo Profondo Rosso, avvertiva, come afferma chiaramente nell’intervista contenuta nella sezione extra del blu ray della nuova e splendida edizione distribuita da Videa, l’esigenza di compiere un’evoluzione, di emanciparsi dalla pur bella prosaicità del poliziesco e del thriller per giungere nel terreno affascinante dell’horror e della magia.
Se in Profondo Rosso la soluzione del rebus era subito fornita allo spettatore con pochi e sfuggenti fotogrammi (anche lì c’era un’iperbolica connessione tra inizio e fine), con Suspiria Argento riesce a ridurre, fino a comportarne la scomparsa, la visibilità della ‘causa del fenomeno’, di ciò che normalmente si ritiene celarsi dietro esso, permettendone la manifestazione. Non viene mai mostrata Helena Markos, la cui presenza aleggia fantasmaticamente su tutta la città di Friburgo – e in tal senso è indicativa la sublime sequenza della morte del pianista Daniel (il fuoriclasse Flavio Bucci) girata in una piazza ‘metafisica’ alla De Chirico. In questo senso, chi scrive è persuaso che se Susy fosse ritornata in America per sfuggire ai sortilegi della strega si sarebbe scontrata anche lì con i suoi poteri malvagi. Il finale di Suspiria, in cui la provvidenziale pugnalata della protagonista dà temporaneamente corpo alla figura di una donna centenaria, decrepita e disgustosa – un corpo in decomposizione che ‘resiste’ e ‘insiste’ (se vi piace, si potrebbe definirlo, utilizzando il gergo lacaniano-žižekiano, ‘lamella’) – risuona non poco con il meraviglioso epilogo de Le armonie di Werckmeister (2000), il film diretto da Béla Tarr, tratto dal romanzo Melancolia della resistenza dello scrittore ungherese László Krasznahorkai (che ne curò soggetto e sceneggiatura). Anche lì si assisteva a un rilevante ‘svelamento’ che inevitabilmente deludeva chi era alla ricerca di una causa, di un qualcosa da considerare l’origine di quanto accaduto: un vecchio inerme, nudo, esanime. In entrambi i film questo ‘resto’ visivo costituisce la rovinosa ricaduta idolatrica del prototipo. Detto in altri termini, sebbene anch’essa abbia consistenza ontologica, la potenza che è la premessa logica dell’atto è per natura incommensurabile a esso, e, per tale motivo, tentare di schiacciarla arbitrariamente sul ‘visibile’ comporta un’esplosione che genera ‘mostri’, cadaveri, corpi in putrefazione, orrori di ogni genere, sempre insufficienti, pur nella loro sconvolgente apparenza, a rendere conto della pienezza di qualcosa che, quantunque non cessi di segnalare la propria presenza, è confinato in un fuori campo assoluto irraggiungibile.
Se questa lettura non è campata in aria, allora Suspiria, oltre a essere un film straordinario che non cessa, a distanza di quarant’anni, di esercitare un incredibile fascino, costituisce anche e soprattutto una preziosissima testimonianza di quanto Dario Argento abbia saputo istintivamente cogliere i più complessi meccanismi che regolano l’articolazione interna allo statuto ontologico dell’immagine (in movimento). Riflessione profondissima che poi sarà ulteriormente sviluppata e ribadita nel bellissimo Opera (1987), un film in cui l’orrore non costituiva più l’ennesima spettacolarizzazione ordita colludendo con una malsana bulimia contemporanea dello sguardo, bensì diveniva il mezzo attraverso cui retrocedere (utilizzando il gergo di Alain Badiou) dalla rappresentazione alla presentazione, risalendo a un momento precedente alla cristallizzazione mortifera dell’ordine simbolico. Una coppia di pellicole che confermano quanto il loro autore meriti più che mai l’appellativo di maestro.
Pubblicato e distribuito da Videa, Suspiria è disponibile in blu ray e nella versione 4K, in formato 2.35:1 con audio in italiano e inglese (Mono PCM e DTS-HD Master Audio 5.1) e sottotitoli opzionabili. Nei contenuti speciali: “Argento racconta Suspiria” e il trailer.
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