Miguel è un bambino di 12 anni con la musica nel sangue. Il suo talento, però, deve rimanere nascosto perché tutta la sua famiglia odia qualsiasi nota musicale. Ogni suono è bandito dalla sua casa, represso, soffocato. Nessuno può cantare o fischiettare perché il ricordo della fuga del papà di nonna Coco per inseguire sogni di gloria è troppo doloroso per essere accettato. La sua foto sull’altare votivo, infatti, è stata strappata e quasi nessuno ricorda il suo aspetto. Miguel però non riesce ad accettare il divieto e quando si accorge che lo strumento stretto da suo nonno nella foto è lo stesso usato da Ernesto De la Cruz, decide di rivelare il suo segreto. La sua famiglia non accetta la realtà e quando il bambino, nella notte del Dia de los Muertos, ruba la chitarra del suo idolo, si trova magicamente a viaggiare nel mondo ultraterreno dove conosce i suoi antenati e fa amicizia anche con Hector, un’anima che sta per scomparire perché è stata quasi completamente dimenticata dai suoi familiari.
Coco è una vera e propria storia d’amore, un inno alla famiglia – e a tutte le sue peculiarità – travestito da romanzo di formazione. In realtà, però, non è soltanto Miguel ad effettuare un percorso di crescita, ma tutti i personaggi della vicenda, perché, abituati, ormai, ad uniformarsi all’immagine che la società prescrive, hanno dimenticato la bellezza della propria originalità e sono incapaci di accettare i cambiamenti. La famiglia, infatti, fabbrica scarpe da generazioni, le modella e le lucida per renderle perfette, ma manca di anima. Quella che cerca disperatamente Miguel, quella che insegue nell’oltretomba, quella che trova in ogni emozione degna di essere ricordata.
I registi Adrian Molina (lo story artist di Monster University) e Lee Unkrich (regista di Toy Story 3 – La grande fuga) fondono in modo indissolubile il mondo dei vivi e quello dei morti, lasciando labili i confini tra i due universi, come se l’uno fosse la continuazione ipotetica – e calviniana – dell’altro. Proprio per questo motivo, accompagnati per mano, fotogramma dopo fotogramma, gli spettatori dimenticano ben presto di trovarsi davanti a spiriti burtoniani che ballano, cantano, indicono gare musicali e organizzano feste a tema, proprio a simboleggiare che la vita non finisce con la morte del corpo perché continua per tutta la durata della vita dell’anima. Le ambientazioni messicane, i suoi ritmi frenetici e afrodisiaci, le sue colorazioni altisonanti e i suoi protagonisti bizzarri e strampalati, contribuiscono inoltre ad enfatizzare l’aurea esuberante della storia e a rendere Coco, a tutti gli effetti, una delle pellicole di animazione più riuscite di sempre.