Rimasto negli annali della storia criminale come il “Massacro del lago di Bodom”, è il più celebre caso di omicidio plurimo avvenuto in Finlandia e mai definitivamente risolto.
Un fatto di sangue il cui processo è stato riaperto intorno al 2004 nei palazzi di giustizia di Helsinki e che sembra aver ispirato Lake Bodom (2016), co-produzione estone-finlandese diretta da Taneli Mustonen e caratterizzata da un’idea di base che pare guardare, in un certo senso, al punto di partenza di The Blair witch project – Il mistero della strega di Blair (1999).
In maniera simile a quanto accadeva nel chiacchieratissimo found footage di Daniel Myrick ed Eduardo Sánchez, infatti, abbiamo quattro giovani studenti di giornalismo che, in questo caso interpretati da Nelly Hirst-Gee, Mimosa Willamo, Mikael Gabriel e Santeri Helinheimo Mäntylä, in occasione del cinquantesimo anniversario dei citati delitti decidono di iniziare un’inchiesta accampandosi proprio nei pressi del lago.
Fortunatamente, però, non è al pov da falso documentario che fa ricorso la oltre ora e venti di visione, immersa in un’ambientazione non distante da quella di un qualsiasi Venerdì 13, tanto da richiamarne alla memoria una sequenza storica del secondo capitolo della serie jasoniana quando i protagonisti si radunano attorno al fuoco per ricordare il fattaccio.
E, effettivamente, complice l’arrivo di sanguinose uccisioni tramite coltello, è quella dello slasher la strada che sembra essere battuta; ma un colpo di scena a metà film provvede a convincere lo spettatore che non sia esclusivamente una vicenda incentrata sul fantasioso body count a scorrere davanti ai suoi occhi, bensì un elaborato in fotogrammi destinato ad intraprendere inaspettatamente un altro percorso.
Man mano che si viene coinvolti lentamente – tra emersione di indizi e verità – per approdare ad una seconda parte che, manifestante più o meno vaghe assonanze con Alta tensione (2003) di Alexandre Aja, conduce verso un epilogo a sorpresa, non prima dell’entrata in scena di una losca e, a quanto pare, pericolosa figura.
Al servizio di un inedito cinematografico che è Koch Media a lanciare in Italia in una limited edition blu-ray facente parte della sua collana Midnight Factory e dispensatrice, nella sezione extra, di un brevissimo making of e di una clip inerente alla reazione del pubblico in sala.
Stesso trattamento che, con custodia amaray inserita in slipcase cartonato, la label riserva anche a Il sangue di Cristo (2014), ovvero il Da sweet blood of Jesus che ha segnato l’ingresso nell’ambito dell’horror per l’acclamato regista afroamericano Spike Lee, sebbene già si fosse avvicinato in precedenza al genere figurando in qualità di produttore esecutivo per il non disprezzabile Tales from the hood (1995) di Rusty Cundieff.
Più che un remake, una reinterpretazione dello sfortunato Ganja & Hess (1973) di Bill Gunn, che, sfornato nel pieno dell’esplosione del filone della Blaxploitation, costituito da pellicole di genere popolate da cast all black, pose al proprio centro il compianto Duane Jones de La notte dei morti viventi (1968) non al fine di concretizzare un classico lungometraggio di vampiri, ma una metafora sul bisogno di sangue per riflettere sul concetto di dipendenza e di isolamento e sulla lotta ingaggiata dalla cultura dei neri per sopravvivere.
Un lungometraggio sperimentale – e, probabilmente, per questo ignorato al botteghino – in cui si faceva riferimento all’arcaica società immaginaria di Mirthya, sostituita in questa nuova versione con il realmente esistito impero Ashanti per quanto riguarda la provenienza dell’antico pugnale che finisce nelle mani di un benestante e colto antropologo dalle fattezze di Stephen Tyrone Wlliams.
Pugnale che lo rende immortale ed affetto da una insaziabile sete di emoglobina, fornendo la miccia necessaria all’evoluzione di un racconto per immagini che l’autore di Fa’ la cosa giusta (1989) e La 25ª ora (2002) ha potuto mettere in piedi ricorrendo al crowdfunding tramite Kickstarter (e pare che alla campagna abbia contribuito anche il collega Steven Soderbergh con diecimila dollari), a proposito di cui osserva: “Sono passato attraverso Hollywood, ho fatto film con gli studios e scegliere Kickstarter è stato proprio un modo per mandare Hollywood a farsi fottere. Ma questo perché sono un realista e avevo capito benissimo che il film che volevo fare non avrebbe mai ottenuto dei finanziamenti. Non c’entra niente che si tratti di un film fatto da un regista nero, è proprio che la storia non aveva il potenziale per aspirare ad incassare cifre che interessano agli studios”.
Un racconto per immagini che, accompagnato in questa edizione home video in alta definizione dal trailer, tra ossessiva colonna sonora e un lungo momento cantato appare non poco bizzarro nelle scelte; rivelandosi evidentemente propenso ad allontanarsi dal concetto maggiormente commerciale del prodotto di paura per individuare il proprio punto di forza nel realismo trapelante sia dagli amplessi con sanguinolenti uccisioni annesse che dalla bollente scena di sesso saffico consumata da Naté Bova e Zaraah Abrahams.