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Dopo Mezzanotte

Master Blaster al Fantafestival (una tradizione che non può essere disattesa)

Come la tradizione impone (guai a disattenderla!), anche quest'anno Master Blaster ha seguito, con il suo caratteristico piglio, il Fantafestival, regalandoci un suggestivo reportage di quanto accaduto. Vietato perderlo!

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Dicembre, nel mio nuovo negozio, colonna sonora: il ticchettio della pioggia e  c – rock dei Krisma. Sistemato come una perla nella sua ostrica, contemplando con soddisfazione il perpetuarsi della mia indefettibile attitudine al ritardo nella consegna degli articoli, stavolta mi pongo il problema di scegliere tra il cuore e la deontologia. Infatti tra i pezzi da consegnare ce ne sono due su cui sono egualmente in ritardo: il primo è inerente la passata edizione del Ravenna Nightmare festival di cui non solo Taxi Drivers era media partner, ma in cui il sottoscritto faceva parte della giuria per il premio della critica; l’altro è l’immancabile appuntamento annuale con il Fantafestival, a cui sono legato, oltre che da motivi professionali (anche qui eravamo media partner), anche da ragioni affettive.

Essendo la frequentazione di quest’evento un rito che risale alla mia adolescenza. Logica ed etica vorrebbero che in ordine cronologico io dessi la precedenza alla manifestazione di Ravenna, città ed evento che amo in egual misura e che anche quest’anno ci ha regalato un programma ricco, di qualità, denso di ospiti ed anteprime. Tuttavia, essendo io l’ultimo dei romantici cedo alle ragioni del cuore, parlando prima di ogni cosa della maratona Romana. Non me ne vogliano i magnifici organizzatori del Ravenna Nightmare, nel prossimo articolo – che conto di scrivere entro la visita dei re magi – tratterò diffusamente di loro, ma a conti fatti sento l’umano bisogno di dare la priorità allo storico, sgangherato, primo amore, in un momento in cui ne ha bisogno.

Prima di parlare dei film nello specifico, infatti, è doveroso motivare questa mia decisione con una piccola “pubblicità progresso”. Chi segue la kermesse romana è abituato da almeno un ventennio e oltre a tenersi libero una settimana all’inizio dell’estate per frequentarlo tranquillamente. Quest’anno invece è stato posticipato ad autunno inoltrato, e la data di partenza è rimasta un vero mistero fino a tre settimane prima, perfino per me, costantemente in contatto con dei personali basisti all’interno dello staff. Partito quasi in sordina dal 22 al 26 novembre, alla serata di apertura, per bocca dei direttori artistici Luca Ruocco e Marcello Rossi arriva la conferma di ciò che tutti temevamo: le voci riguardanti le enormi difficoltà economiche del festival e la sua possibile cancellazione erano tutte vere. Solo grazie alla volontà di andare avanti ad ogni costo e all’amore che tutta l’organizzazione ha per questo evento che cura e gestisce in maniera poco più che volontaria si è riusciti a mandare in porto l’edizione 2017.

Ma il futuro è incerto e non è affatto scontato che i soli sforzi dell’eroica pattuglia dello staff siano grado di assicurare l’edizione dell’anno prossimo e di quelli a venire. Per questo mi sento in dovere di aiutare come posso, perfino dandogli una precedenza affettiva nella trattazione, e lanciando un appello a tutti coloro che, come me, sono cresciuti assieme al Fantafestival. A tutti quelli che hanno tremato, riso, urlato, fischiato, applaudito, cercato registi in sala per appioppargli un ceffone, scoperto perle fuori dai circuiti del mercato o riscoperto tesori da anni sepolti in qualche polveroso archivio. A tutti quelli che, in questi 37 anni, si sono costituiti come comunità o, che più semplicemente, hanno imparato a scoprire ed amare il cinema, un certo tipo di cinema, con tutti i sogni (o gli incubi) di celluloide che sa regalare. É il momento di saldare il vostro debito. Fate sentire alla direzione che il fantafestival non è solo, e mostrategli il vostro affetto. Scrivetegli, contattateli, proponete, sosteneteli, aiutateli o magari muovete il culo dalle vostre poltrone e venite in sala alla prossima edizione, se ci sarà una prossima edizione: dipende molto anche da voi.

E ora che ho attaccato il pippone, dedichiamoci alla carrellata dei film presenti quest’anno.

Apre le danze il canadese Scarecrows, un film che consiste interamente in un collage di topoi (τόποι ). Da “grano rosso sangue” a “jeepers creepers”, passando per Venerdì 13 e Non aprite quella porta, i luoghi comuni sul ciclo studenti/campeggiatori massacrati ci sono tutti, dal nerd imbranato e innamorato alla tettona idiota, al borioso palestrato, nessuno manca all’appello. Non ci sarebbe nemmeno da fare la sinossi del film. Chi tromba muore, chi fuma muore, chi beve muore, chi scende dalla macchina muore, chi butta una cartaccia per terra muore, chi rompe i coglioni al taciturno contadino alto 2 metri e venti, con tanto di machete e ricoperto di cicatrici, muore. Insomma, basterebbe avere una rudimentale conoscenza della produzione teen-horror americana anni 80 per essere in grado di prevedere con precisione gli sviluppi della trama al quinto minuto di proiezione. Eppure bisogna ammettere che questo Frankenstein, costruito mettendo insieme grandi successi altrui, non è malvagio, anzi denota un certo buon gusto che, unito ad una massiccia dose di autoironia, stempera la banalità, convincendo gli spettatori che alla fin fine il regista non si sia preso troppo sul serio. O almeno così spero…

E visto che gli storici disturbatori in sala non c’erano, e se c’erano dormivano, a svegliarci con un anfetaminico cazzotto nello stomaco ci pensa l’inglesino Dan Pringle con il suo K- Shop, alias il kebabbaro assassino. Una confezione che deve molto all’immaginario del sottoproletariato inglese descrittto a più riprese da Danny Boyle. Un’umanità decadente e disfatta (oltre che strafatta), che si muove ai margini delle stesse periferie suburbane, in uno scenario apocalittico, coltiva mitologie sintetiche fatte di droghe, star del grande fratello, discoteche e sterili sfoghi del fine settimana. Il tutto accentuato da una fotografia dai colori a tratti accecanti, tipici del trip lisergico. In questo panorama, il mostro, lo straniero, l’emarginato protagonista della vicenda, risulta essere l’unico vero normale, rifiutando l’integrazione in una società di per sè ai massimi dell’alienazione. É l’unico a mostrare sentimenti e reazioni condivisibili, trasformando sbandati e violenti in kebab. Nella sua personalissima crociata interclassista contro il degrado, non fa altro che portare la carne umana all’ultimo stadio della mercificazione imposta dalla società dei consumi.

Degno di nota anche l’ennesimo sequel della bambola assassina, Il culto di Chucky, che senza aver la pretesa di scrivere una pagina di storia del cinema di genere ci riporta in atmosfere violente come solo nella cinematografia visionaria e malata degli anni ’80 ne potremmo trovare. Ironia a badilate, sangue come se piovesse, interiora e sadismo allo stato puro, con un delicato uso del digitale, ci fanno dimenticare per un po’ le edulcorazioni e l’autocensura che autori e produttori si imposero dalla metà degli anni ’90 ad oggi, sperando di trovare più spazio nei circuiti del mercato commerciale; con il solo risultato di annoiare gli appassionati, incapaci di conquistare segmenti di pubblico che per loro natura non saranno mai interessati al genere; e più in generale portare tutto il cinema fantastico in un lungo periodo di decadenza creativa che ha avuto il suo picco più basso in World War Z, la regina delle grandi occasioni mancate. Essendo una produzione Universal, c’è da sperare che questo film voglia lanciare un segnale per una profonda autocritica e un’inversione di tendenza. Come si dice… “un piccolo passo per un uomo, etc etc etc”.

A chiudere la prima serata un ospite d’eccezione, della cui presenza rivendico un pochino il merito. Sua maestà Andrea Marfori in carne, ossa e cappella panama (ovviamente nero, vista la stagione), che per l’appuntamento Fuori dal bosco, decide di non parlare assolutamente de Il bosco 1,  lasciandoci in fervente attesa delle sorprese in cottura per il trentennale della pellicola, e ci presenta il suo nuovo Soviet zombie invasion coprodotto con il russo Viktor Boulankin, di cui ho già diffusamente dissertato, e l’autoriale La sfortunata vita di Giorgina Spelvin incatenata ad un termosifone (no, non lo dico in inglese! Perderebbe troppo!). La forma c’è tutta, ma i disturbatori tacciono. Comincio a preoccuparmi.

D’altronde il secondo giorno inizia con un film che certo non aiuta a svegliarsi. Incontrol di Kurtis David Harder, da un certo punto, di vista è un film geniale. Ci vuole sicuramente un talento non comune per riuscire a mettere in un’ ora e 22 minuti di pellicola tutte, ma dico proprio tutte, le cose che detesto in un film. Un pippone introspettivo senza precedenti! Roba da far sembrare Kieslowski un emulo di Claudio Cecchetto ai tempi del Gioca jouer e Bergman l’autore degli scatenati action-movie di Bruce Willis: il film si muove lento come un bradipo obeso in overdose di morfina. Aggiungiamoci tutte le caratteristiche del teen movie con attitudine fighetta e l’ambientazione in college di lusso. Praticamente una versione di Twilight applicata al Settimo sigillo con chiari riferimenti a Dawson Creek. Persino le musiche, una sottospecie di trance elitario di bassa lega, riescono a conciliare un sonno tutt’altro che riposante. C’è solo da sperare che il regista torni all’agricoltura a cui è stato pesantemente rubato prima che possa far altri danni all’industria cinematografica Canadese. Di sicuro se c’era qualche disturbatore in sala, questo panino di ghisa con farcitura di piombo l’ha steso a dovere.

A seguire invece lo scoppiettante The wicked gift che, a dispetto del titolo, è italianissimo e potrebbe tranquillamente passare alla storia come l’esorcista della brianza. Da dove comincio? C’è solo l’imbarazzo della scelta. Dagli attori protagonisti? Una coppia in formato 4 x 2, nel senso che vista la stazza, ogni attore potrebbe tranquillamente valerne due (e qui capisco che la maggior parte dei soldi della produzione siano stati destinati ai cestini per il pranzo di questi due adoni) Dal girato? Sconclusionato come il filmino del matrimonio girato dal classico zio matto che durante il ricevimento si ubriaca senza ritegno e, tra un primo piano e l’altro alla coppia nuziale, riprende con dovizia di particolari i fondoschiena di tutte le damigelle. I dialoghi? Per favore, non costringetemi a parlarne! Roba da teatro dell’assurdo per non udenti. Certo ci sarebbero anche le citazioni colte di the ringu ad alzare il livello culturale del film. Peccato che siano tutte abbondantemente annaffiate di barolo! Insomma, nelle pieghe del montaggio si capisce che, tra un omicidio e una possessione diabolica, ogni sequenza è una scusa per ingurgitare ettolitri di vino e ingollare quintali di porchetta. Da qui possiamo desumere che la profonda tematica della storia è un bel “ma che ce frega, ma che ce importa!” Qualcuno potrebbe pensare che alla fine il film non mi sia piaciuto, ma si sbaglierebbe di grosso. L’operazione, rapportata al cinema, è quanto di più simile alla grande truffa del rock’n roll che io abbia mai visto. Tutti, dal regista all’ultimo degli attrezzisti si son voluti divertire e poi, come si dice a Roma, “c’hanno provato”. Se questo è lo spirito mi (e gli) auguro che la mandrakata gli riesca in pieno.

E il terzo giorno resuscitò, disse da qualche parte un autore fantasy di un certo successo. Infatti la giornata inizia con Sharkskin, un’amabile commedia nera ambientata nella New York mafiosa di Fiorello La Guardia. Potrei obiettare che il film è completamente fuori contesto in una rassegna di cinema fantastico, ma il fatto che sia un ottimo prodotto, girato con cura di particolari, fino all’uso di strumenti e lenti d’epoca per rendere a pieno le atmosfere retrò, fa passare in secondo piano questo peccato veniale. La storia è fresca, gli attori bravissimi e la regia di Dan Perry ci trasporta con leggerezza per le strade della Little Italy degli anni ’40. Quando uno si trova davanti a un bel film se lo deve gustare senza troppi problemi di contestualizzazione E poi, non essendo in concorso, non c’è nulla da obiettare e per di più non rischia di vincere come quella boiata di Testigo intimo, soporifero film che di fantastico ha solo l’inspiegabile fatto di aver vinto l’edizione del festival dello scorso anno.

Conclude la giornata la carrellata dedicata ai fumetti con la proiezione del documentario dedicato a Splatter, la rivista proibita dell’inossidabile Paolo d’Orazio e la presentazione del fumetto autoriale Impronta umana. A dire il vero la presentazione più sgangherata che abbia mai visto in vita mia. Un hellzapoppin surreale di venti minuti in cui non capisco assolutamente nulla, tant’è che alla fine mi avvicino al banchetto e ne compro orgogliosamente una copia. Se è una tecnica di marketing, non c’è che dire, funziona alla perfezione.

All’inizio del quarto giorno, Luca Ruocco è visibilmente preoccupato per la latitanza inspiegabile dei disturbatori. Si avvicina a me per chiedere lumi, confidando nel fatto che anche io negli scapestrati anni della mia gioventù militai con orgoglio nell’orda d’oro del festival, ma non so che dirgli. Effettivamente qualche volto storico c’è, ma stranamente tacciono tutti, nonostante il materiale umano ci sarebbe. Capisco quindi le preoccupazioni di Luca: il Fantafestival senza nemmeno una pernacchia sarebbe da archiviare come un fallimento storico e questo spettro sta prendendo pericolosamente corpo.

Confidiamo tutti che la versione colorata di Godzilla di Luigi Cozzi, affettuosamente chiamata Cozzilla, possa scaldare gli animi, ma non c’è niente da fare. Anzi questi applaudono! Ormai un senso di scoramento pervade staff ed addetti ai lavori che lasciano scorrere il pur interessante documentario dedicato al su citato Cozzi e Matar a Dios, bellissima produzione spagnola che vincerà il premio come miglior lungometraggio, incentrata sulla figura di Dio raffigurato come un nano alcolizzato e psicotico, deciso a sterminare l’umanità nella notte di capodanno.

Senza speranze ed entusiasmo, dopo l’omaggio a Biagio Proietti ci avviamo alle ultime due proiezioni serali dedicate alla Croce dalle sette pietre e relativo sequel di Andolfi. Per chi non lo conoscesse, brevemente dico solo che sarebbe la storia di un lupo mannaro contro la camorra, benedetto dal vaticano, film che in altri tempi avrebbe scoperchiato le tombe e fatto urlare insulti persino ai morti. Ma appunto erano altri tempi, penso, ormai perduti per sempre. Invece qualcosa accade. Dopo le prime scene timidamente qualcosa si smuove…Un commentino, una risatina qua e la. Dapprima un timido rivolo di ironia che diventa un fiume in piena quando appare il sedicente lupo mannaro anticamorra, con un topo morto in testa e una serie di dread alla moda rastafariana per coprire le pubenda. Urla e lazzi ad ogni sequenza, senza nessun riguardo per l’anziano regista presente in sala che questo film ha scritto, diretto e interpretato come Orson Welles in Quarto potere. Qualcuno urla “nudo!” ed effettivamente per buona parte del film Andolfi appare nudo, facendo bella mostra del suo fisico apollineo, oltre che di una recitazione esemplare. Cioè esemplare di come non dovrebbe essere una recitazione appena cristiana. Altri presi da furor mistico gridano di rimando “sei un messia!” e il maestro in sala azzarda la domanda “ma vi piace o no?”, cui segue in risposta un boato. Il caos è totale, la risposta del pubblico alla proiezione è arrivata e finalmente anche lo stato maggiore del festival, presente al gran completo, si rilassa e, in una vertigine di ebbrezza liberatoria, si unisce al baccanale quando sullo schermo scorre la sequenza di un Chewbecca a caso che tromba con una maga da osteria, facendo le flessioni. Tra un film e l’altro l’incontro con l’autore che scende dagli spalti della platea acclamato come un liberatore e un padre della patria. Forse Andolfi non lo sa, ma molto probabilmente ha salvato la 37° edizione del Fantafestival. Prima di introdurre l’agognato sequel, dal titolo Riecco Aborym, con piglio accademico si scusa riconoscendo che non è bello come il primo. Ormai anche io, in preda all’euforia e senza nessun contegno professionale, lo tranquillizzo urlando “Stia tranquillo maestro! Si sa, i sequel sono sempre inferiori agli originali”. E invece, il film è di una rara bruttezza, che nulla ha da invidiare al primo, anche perché più della metà consiste in sequenze dell’originale rimontate a caso tanto per fare minutaggio, e l’altra metà è egemonizzata da un cameo di Ruocco che probabilmente per questo sarà espulso dalla direzione del festival, consegnandosi però all’immortalità.

Arriviamo così a domenica, l’ultimo giorno. Ormai l’atmosfera è decisamente più rilassata e rotti gli argini i disturbatori non si fanno più pregare per mostrare la loro presenza. Anzi, reso audace dalle scorribande della sera precedente e da una robusta dose di tavernello, durante la presentazione di Rabbia furiosa, film di Stivaletti sul canaro della Magliana, uno della nefasta schiera abbandona la sua postazione in platea e ruba il microfono al povero Sergio, per informarci che lui è l’inventore del “rap della morte”. Tra il serio ed il faceto, a riportare l’attenzione sul cinema ci pensa l’amico Michele De Angelis, che con il suo Uomo nella macchina da presa ci regala un testo metafilmico, scanzonato ma competente, colto ma senza essere dottorale. Una storia nera che fa da trait d’union a una serie di ricercatissime citazioni cinematografiche che svelano l’altra anima di Michele, il quale, oltre ad essere un bravo regista, è un vero e proprio archeologo della settima arte e un archivio vivente di conoscenze cinematografiche. E infatti a chiusura del festival ci regalerà una versione restaurata a 5k di Zombie del compianto George A. Romero. Apprezzatissima la citazione fulciana che lui stesso recita nel finale, quando a un “buongiorno maestro” risponde con “maestro un cazzo” tipico di Lucio il truce.

Ed è forse l’omaggio a Fulci, che del Fantafestival fu contemporaneamente padrino e figlio adottivo, il momento più alto di tutta la kermesse, salutato anche da una fugace quanto rara apparizione di Antonella Fulci, venuta per l’occasione. Un commovente ricordo montato con le sequenze dei suoi gioielli più indimenticabili, da L’aldilà a Sette note in nero alla Villa accanto al cimitero o Il gatto nel cervello. L’emozione mi corre lungo la schiena e diventa commozione quando sento parlare di Lucio  Frizzi, Tentori, ma soprattutto Sergio Salvati, unico del clan Fulci che non conoscevo direttamente ma che più di ogni altro, forse, ha contribuito a dare a capolavori come L’aldilà quel tocco e quella magia che valsero al regista il titolo di “poeta del macabro”.

Ormai la serata volge al termine. Ruocco, Rossi e Ravaioli, contro ogni aspettativa portano a casa un innegabile successo. Proprio perchè la 37° edizione del Fantafestival è stata così travagliata, e non scontata direi, che questo successo vale il doppio e rende la misura di quanto questo festival sia necessario. Quindi, cari borsellini di mammà, se l’anno prossimo il destino e la volontà dello staff ci dovessero concedere una 38° volta, non statevene a casa sulla poltrona, perché potreste seriamente rimpiangere di aver perso un buon motivo per uscire di casa negli anni a venire. Colonna sonora: Tunnel of love dei Demented are go.