Anime nere, un film del 2014 diretto da Francesco Munzi. Il soggetto, riguardante le sventure di una famiglia collusa con la ‘Ndrangheta, è liberamente tratto dall’omonimo romanzo di Gioacchino Criaco. Il film ha partecipato alla 71ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia nel concorso ufficiale, ricevendo subito un’ottima accoglienza. Ha ottenuto ben 9 David di Donatello tra i quali quelli per il miglior film, miglior regista e migliore sceneggiatura.
Sinossi
Tre fratelli si riuniscono nel loro paese natale tra le montagne selvagge dell’Aspromonte, in Calabria. Uno di loro è sempre rimasto lì, due sono migrati al nord, riuscendo a trovare successo e denaro, chi in maniera legittima, chi no. Tutti però dovranno confrontarsi, in una dimensione sospesa tra l’arcaico e il moderno, con la storia della loro famiglia e con un passato quasi tribale che riemerge con violenza.
La recensione di Taxi Drivers (Luca Biscontini)
Un tuffo in una dimensione ancestrale, arcaica, e, in un certo senso, sacra; un passato che non smette di ritornare, con le proprie leggi, usanze; un modo di concepire l’esistenza che, nonostante tutti i tentativi di normalizzazione, rifluisce impetuosamente, invischiando tutti coloro che sin dalla nascita sono segnati da un fatale destino che drammaticamente incombe. Liberamente tratto dall’omonimo romanzo di Gioacchino Criaco, prima di essere una storia di malavita, Anime nere è la messa in scena di un dramma famigliare, che si dipana lentamente sotto i nostri occhi, senza eccessivi strepiti, in cui la normalità dei rapporti quotidiani viene investita da un’improvvisa sciagura che provoca non poche vittime.
I Carbone sono uomini e donne legati da un rapporto tribale, ma ciascuno di essi intrattiene un legame più o meno profondo con la dimensione dell’illegalità, con una ‘moralità altra’, parallela, che insiste, giustapponendosi, nella realtà di tutti i giorni. I tre fratelli protagonisti (davvero intense le prestazioni di Marco Leonardi, Peppino Mazzotta e Fabrizio Ferracane) scandiscono i diversi gradi di appartenenza a una normatività radicata in un territorio ostile, ma al tempo stesso meraviglioso, ancora incontaminato, dove le principali attività rimangono l’agricoltura e la pastorizia, un mondo criminaloide fatto di non detti, di silenzi, di riunioni famigliari in cui si decide della sorte di altri esseri umani. Ma il lato oscuro – è questa è l’eccezionalità dell’opera di Munzi – rimane fuori campo, dove l’occhio dello spettatore non arriva, e ciò che la macchina da presa immortala sono gli effetti sulle persone, che non possono far altro che tenersi tutto dentro.
Anime nere ci mostra un mondo compresso, inespresso, e lo spettatore è convocato a dare lui stesso forma a tutto il materiale emotivo che rimane a fior di pelle sui personaggi, i quali brancolano nel buio, entrando in contrasto tra di loro, ma sempre sommessamente. Ecco perché l’epilogo del film si carica di una drammaticità che raccoglie tutta l’umanità negata, ammutolita, non partecipata, e la tragedia finale, paradossalmente, vede coinvolto proprio il fratello che più si era estraniato dai ‘fatti della famiglia’. Un trattato antropologico, dunque, che rivela un profondo lavoro di preparazione da parte del regista, il quale ha saputo cogliere in maniera acuta i comportamenti, le mentalità e i modi di vivere di un mondo segreto ma palpitante, strisciante e, in ultima analisi, soffocante. Il traffico di droga, il riciclo di denaro sporco e tutte le altre attività illegali connesse sono il sintomo di un ‘malessere’ più radicato, di un’etica alternativa che non smette di rivendicare la propria cittadinanza.
Ricoperto giustamente da tanti David di Donatello, Anime nere si appresta a rimanere un caso nella cinematografia italiana e di genere.
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