“Mi guardi, io faccio solo del male, ma, in fin dei conti, la sua vita a che serve? Lei dalla parte buona, io da quella cattiva. No, non serviamo a niente nessuno dei due”. Forse questa amarissima battuta estrapolata da Nazarín (1958) potrebbe, con l’immediatezza della suggestione che evoca, introdurre appropriatamente lo spirito dei tre e, per certi versi, assai diversi film contenuti nel nuovo boxset pubblicato da Raro Video e distribuito da CG Entertainment, dedicato al grande cineasta Luis Buñuel.
L’arco di tempo che Los olvidados (I figli della violenza, 1950), Nazarín e Tristana (1970) coprono è un ventennio in cui si verificarono profondi mutamenti a livello sociale, antropologico e politico, e il regista spagnolo, che aveva con lucidità registrato tali modificazioni, non esitò a riformare sensibilmente l’iconografia della propria poetica nel tentativo di tracciare le nuove rotte percorse da un divenire sempre più sfuggente e difficile da interpretare. Ma se c’è un elemento che, in qualche modo, accomuna le tre pellicole è, probabilmente, l’insistenza di un pessimismo dato, al di là della retorica dialettica tra Bene e Male, dalla mancanza di un versante politico che consentisse, allora, di pensare al futuro con un po’ di concreta speranza: i protagonisti di Los olvidados, Nazarín e Tristana arrancano nelle miseria delle loro vite (Tristana merita un discorso a parte), che subiscono acriticamente, come se il funesto destino cui sono esposti costituisca una fatalità inevitabile.
Il pretino dostoevskiano interpretato da Francisco Rabal e i ragazzi di Città del Messico, già da sempre gravati da una sorte che s’impone come un debito inestinguibile, non hanno alcuna coscienza politica; l’uno, per scelta, in quanto ministro di Dio, gli altri, invece, per l’ineluttabilità di una condizione che non hanno il potere, in mancanza di strumenti adeguati, di cambiare. In Tristana, invece, il contesto messo in scena è quello della borghesia degli inizi del novecento, ma Buñuel non manca, anche in questa occasione, di aprire rapide parentesi visive, attraverso cui segnalare allo spettatore la drammatica assenza di una coscienza di classe che consenta di emanciparsi dall’inefficienza della rivolta personale dell’individuo isolato (Don Lope, il sempre opportuno Fernando Rey, un vero fuoriclasse).
Karl Marx aleggia in maniera spettrale (come segnalava pure Jacques Derrida nel saggio del 1993), ma non per ciò meno significativa, in un fuori campo assoluto da cui riverbera su ciascuno dei tre film, fornendo la prospettiva privilegiata in cui installarsi per coglierne il senso. Ma sarebbe troppo ingenuo e riduttivo schiacciare un artista poliedrico e dall’immaginario inesauribile come Buñuel in una sola dimensione. E, infatti, a turbare, estasiare e incrinare lo sguardo dello spettatore intervengono alcune improvvise, e assai incisive, pennellate che, all’interno di una narrazione ‘piana’, cortocircuitano spesso il senso, tramite lo scivolamento sistematico in uno spazio onirico che dona respiro alla narrazione.
Non mosso, evidentemente, da un ingenuo istinto iconoclasta, ma dall’esigenza di trasfigurare la realtà, Buñuel tiene sempre in allerta lo spettatore, invitandolo continuamente a innescare quella torsione dello sguardo necessaria a cogliere un’eccedenza che non può essere contenuta all’interno dei confini asfittici dell’ordine simbolico. Ma non si tratta del trascurabile piacere di scandalizzare (che pure fu molto utile, soprattutto nel primo periodo dell’attività del regista), tipico del Surrealismo, piuttosto del bisogno di fare segno a un ‘fuori’ (della cornice del quadro e dell’inquadratura) in cui risiede una riserva di senso non riducibile all’ordine della rappresentazione, giacché esorbita gioiosamente i limiti del supporto tecnico (la pellicola). Il linguaggio convenzionale viene allora all’improvviso guastato: subentra un ‘balbettare’ che poi sfocia in afasia, come quegli splendidi silenzi che calano sul chiacchiericcio improduttivo della deiezione quotidiana.
“Io sono contro la morale convenzionale, i fantasmi tradizionali, il sentimentalismo, tutta la sporcizia morale della società. La morale borghese è per me l’anti-morale perché basata su ingiustissime istituzioni: la religione, la patria, la famiglia e altri pilastri della società”.
Certo, forse qualcuno potrebbe, con una certa frettolosità, obliterare come superato, o anacronistico, un certo spirito che ha animato l’opera di Buñuel, ma tale atteggiamento comporterebbe il madornale errore di non cogliere il più pregnante valore dell’ineguagliabile e immarcescibile capacità di riformare l’immaginario che solo i grandissimi artisti (anzi, a rigore, coloro che hanno ecceduto l’arte), come il cineasta spagnolo, possiedono. Questo, e questo solo, è il corretto approccio attraverso cui porsi, oggi, con il cinema di Buñuel. Il rapporto con il passato non dev’essere storicizzante, ‘monumentalizzante’, quanto in grado, invece, di liberare ciò che di vivo vi è in esso, mostrando (come insegnava Henry Bergson) quella ‘durata’ che convive, giustapposta, alla iattura della dimensione cronologica del tempo, per lasciare continuare a fluire l’inarrestabile movimento del divenire.
Ecco perché rivedere, dopo cinquant’anni, Los olvidados, Nazarín e Tristana non smette di provocare un brivido che agita, stimola e, soprattutto, convoca chi guarda a ripensare fino in fondo la realtà in cui è saldamente inserito. Un miracolo, insomma, che ancora accade e che, per la sua ‘rarità’ (così Alan Badiou ne L’essere e l’evento), non può essere minimizzato. Semmai, non possiamo smettere di ‘essergli fedeli’.
Pubblicato da Raro Video e distribuito da CG Entertainment, Collezione Luis Buñuel è un box contenente 3 dvd (Los olvidados, Nazarín, Tristana), in formato 1.33:1 e 1.66:1, con audio originale e in italiano. All’interno è presente un booklet curato da Bruno Di Marino.
Trova Collezione Luis Buñuel su CG Entertainment
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I figli della violenza (Los olvidados, 77′) è un film del 1950 diretto da Luis Buñuel, vincitore del premio per la miglior regia al Festival di Cannes 1951. Nel 2003 la copia del film conservata presso la Filmoteca della UNAM a Città del Messico è stata inserita dall’UNESCO nel Registro della Memoria del mondo. Con Miguel Inclán, Estela Inda, Alfonso Mejia, Roberto Cobo, Alma Delia Fuentes.
Sinossi:
Al centro del film vi è la vita di tre ragazzi di strada della periferia di Città del Messico: Pedro, Ojinto ed El Jaibo. Quest’ultimo si distingue dai primi due per il fatto che è un vero ragazzo di strada, senza famiglia, mentre Ojinto ha appena perso il padre e lo cerca durante il film, senza riuscirci, mentre Pedro vive con la madre, vedova e alle prese con cinque figli. Altri personaggi, come il musicista cieco e la ragazzina che vive nella casa accanto a quella di Pedro, sono ugualmente importanti e impreziosiscono questo affresco di umanità e brutalità.
Nazarin (90′) è un film del 1958 diretto da Luis Buñuel, basato su un racconto realista di Benito Pérez Galdós del 1895. Il film fu presentato in concorso al Festival di Cannes 1959, dove vinse il Prix international. Con Francesco Rabal, Marga López, Rita Macedo, Jesús Fernández.
Sinossi:
Nazarin è un prete che vive di elemosine nel Messico prerivoluzionario. Ma è qualcosa di più del solito peone emarginato: a suo modo è un profeta, un idealista che cerca di realizzare in terra l’ideale di bontà e di carità di Cristo. Ma gli van tutte male. Dopo umiliazioni e batoste, viene condannato e mandato al patibolo.
Tristana (95′) è un film del 1970 diretto da Luis Buñuel, presentato fuori concorso al 23º Festival di Cannes. Con Catherine Deneuve, Fernando Rey, Franco Nero, Lola Gaos.
Sinossi:
La giovane Tristana, rimasta orfana, viene affidata all’anziano tutore libertino Don Lope di cui ben presto diventa l’amante. Quando, però, conosce Orazio, un pittore, Tristana se ne va con lui. Due anni più tardi, ammalata, tanto che le devono amputare una gamba, la donna torna da don Lope e lo sposa. Ma quando l’uomo è colto da una crisi cardiaca mortale, Tristana non fa nulla per soccorrerlo.