Con una filmografia costituita soltanto da undici fatiche dietro la macchina da presa, è innegabile che il cileno naturalizzato francese Alejandro Jodorowsky sia uno dei cineasti più influenti e affascinanti del surrealismo su celluloide.
Nato a Tocopilla nel 1929, ha debuttato nella regia del lungometraggio – dopo un paio di short – tramite Il paese incantato (1968), derivato dall’omonima opera teatrale di Fernando Arrabal, ma è stato El Topo (1971) a consentirgli di farsi conoscere dal pubblico internazionale.
Immerso in una affascinante ambientazione desertica, un atipico western spirituale intriso di simbolismo cristiano e filosofia orientale in cui il regista stesso veste i panni del misterioso, darkeggiante pistolero del titolo (che, tradotto, significa “La Talpa”), in viaggio con il figlioletto nudo e che, giunto in una città dove tutti gli abitanti sono stati brutalmente uccisi, finisce per eliminare alcuni dei responsabili della strage, per poi spostarsi in un’altra località presa in ostaggio, a quanto pare sede del quartier generale dei banditi.
Una situazione di partenza destinata a sfociare nell’entrata in scena di una schiava sessuale da salvare e di quattro maestri pistoleri con cui il protagonista deve battersi: un guru cieco invulnerabile alle pallottole e guidato da un tizio senza gambe che ne cavalca un altro privo di braccia; una sorta di zingaro girovago accompagnato dalla madre – che gli da la forza prendendosi cura di lui – e da un leone; un allevatore di conigli; un anziano capace di deviare pallottole utilizzando un retino da farfalle.
Tutti personaggi che, tra individui deformi, una nana e una malvagia setta che si abbandona a piaceri sessuali sfrenati nascondendosi dietro un feroce puritanesimo, non fanno che arricchire una bizzarra galleria dal sapore quasi horror e non priva di momenti decisamente depravati, al cui interno il sangue che viene sparso non rappresenta altro che la forza della vita.
Man mano che El Topo cambia look per intraprendere una nuova missione esistenziale, nel corso di oltre due ore di visione che RaroVideo (www.cgentertainment.it) rende finalmente disponibili in alta definizione, impreziosite nella sezione extra dal trailer, una galleria fotografica, commento audio del regista, sette minuti di intervista allo stesso e dieci al giornalista e critico cinematografico Mario Sesti.
Un blu-ray racchiuso in custodia amaray e incluso nello slipcase cartonato del cofanetto comprendente anche l’edizione in alta definizione della successivo lavoro jodorowskiano: La montagna sacra (1973), finanziato addirittura dal manager dei Beatles Allen Klein, in quanto John Lennon e la moglie Yoko Ono amarono profondamente la pellicola precedente.
Il cineasta interpreta in questo caso un alchimista che, vedendo giungere nel suo laboratorio in cima ad una torre un ladro che ha dovuto superare una serie di peripezie, trasforma gli escrementi dell’uomo in oro, per poi chiedergli se lui stesso vuole essere mutato in metallo prezioso, ovvero in un essere immortale.
Accettata la proposta, viene condotto in una sala dove non solo le pareti rappresentano gli arcani maggiori delle carte dei Tarocchi, ma fa conoscenza con sette ladri di alto livello che sono gli uomini più potenti della Terra e insieme ai quali deve intraprendere un vero e proprio viaggio iniziatico.
Sette ladri associati a Fon (Venere), Isla (Marte), Klen (Giove), Sel (Saturno), Berg (Urano), Axon (Nettuno), Lut (Plutone), quindi, ognuno ad un pianeta del sistema solare, e la cui missione è raggiungere la cosiddetta Montagna Sacra, dove risiedono i nove saggi detentori del segreto dell’immortalità e dei quali dovranno prendere il posto.
Perché è proprio l’interrogativo relativo all’esistenza dell’immortalità a fare da tema portante ad un agglomerato di celluloide in cui colui che sarebbe poi tornato alla regia soltanto all’inizio degli anni Ottanta si lascia andare in tutta la sua anarchica ma, al contempo, lirica visionarietà.
Infatti, in mezzo a blasfemia, balli, consueto manipolo di freaks, momenti onirici e violenza (con tanto di evirazione inclusa), inscena con notevole cura estetica e un certo geometrismo delle inquadrature una serie di grottesche coreografie volte a condurre fotogramma dopo fotogramma ad un allora innovativo e inaspettato epilogo metacinematografico che rimane, senza alcun dubbio, tra i maggiormente emulati nella storia della Settima arte.
E, se il comparto del disco riservato ai contenuti speciali dispensa trailer e commento audio di Jodorowsky, non mancano neppure sette minuti di documentario riguardante il suo rapporto coi Tarocchi, cinque di scene tagliate, cinque sul restauro digitale del film e undici di intervista al sopra menzionato Sesti.