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Star Wars: Gli ultimi Jedi. L’ultimo capitolo della saga ideata da George Lucas è un’opera intensa e commovente

Star Wars: Gli ultimi Jedi è un’opera intensa e commovente che non si nutre soltanto di scontri tra acerrimi nemici, ma viene costellata, sin dalle prime inquadrature, di dolore e passione. Nello stesso equilibrio perfetto che mantiene unito l’universo, la Forza diventa metacimema. Diventa arte allo stato puro

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Star Wars non è soltanto una delle più importanti saghe cinematografiche di tutti i tempi. Star Wars è l’unica saga cinematografica che sia mai riuscita a incarnare sogni, incubi e paure di tre generazioni differenti. Umile e superbo al tempo stesso,  l’universo stellare ideato da George Lucas nel lontano 1977 è entrato in punta di piedi nell’immaginario collettivo con l’unico intento di rimanerci prepotentemente ancorato. Davvero pochi avrebbero immaginato che futuristiche gare di sgusci e combattimenti a colpi di spade laser avrebbero cambiato inesorabilmente il volto del cinema di genere. E invece, l’universo di Guerre Stellari ha contato negli anni ben otto capitoli differenti che continuano a dare corpo e voce alla Forza di un artista eclettico e versatile come pochi altri.

La prima triade mostrava l’eterno conflitto tra bene e male, tra dannazione e salvezza, tra perdizione e redenzione. La seconda serie – che tornava indietro nel tempo – analizzava i motivi di scontro tra due forze opposte e complementari presenti in ogni persona, in una sorta di combattimento planetario ed epopeico tra Jekyll e Hyde. L’ultima, la più moderna, indaga la sfera degli affetti più intimi, segreti e reconditi della specie umana, prometeicamente rivolta alla costante ricerca di risposte.

Dopo Star Wars: il risveglio della forza realizzato da J.J. Abrams nel 2015, Rian Johnson (autore di Looper)  firma Star Wars: Gli ultimi Jedi, una pellicola perfettamente imperfetta, capace di bilanciare le ferite per la rottura con il passato e l’eccitazione esponenziale per l’inizio di un nuovo mondo. Più oscuro, forse, perché le tenebre circondano ogni cosa, eppure, più luminoso perché coni di luce nascosti dietro l’angolo sono pronti ad emergere in ogni momento. La speranza, dunque, continua ad esistere finché almeno una persona crede che qualcosa o qualcuno cambierà. Finché le leggende verranno tramandate di padre in figlio. Finché il figlio sceglierà di seguire i suoi insegnamenti pur rimanendo fedele ai propri ideali. Gli ultimi jedi distruggono il passato, lo calpestano, lo bruciano. Davanti alle ceneri delle antiche rovine, poi, iniziano a ricostruirlo pietra dopo pietra, cercando di adattare ai tempi moderni una storia antica come l’universo. È proprio questo il succo dell’operazione della nuova trilogia di Guerre Stellari: compiere la scelta coraggiosa di rinunciare ai precetti del passato per affidarsi ciecamente ai rischi e ai pericoli della traballante modernità. Come dimostrano Kylo (un bravissimo Adam Driver) e la sua speculare Rey (Daisy Ridley), bisogna guardare nella propria anima e capire da che parte della barricata si vuole stare, perché il confine tra bene e male non è mai stato così labile. E la leggenda vivente Luke Skywalker (lo stoico Mark Hamill) lo dimostra.

Un’opera intensa e commovente che non si nutre soltanto di scontri tra acerrimi nemici, ma viene costellata, sin dalle prime inquadrature, di dolore e passione, figli illegittimi dell’amore puro. L’amore che scaturisce verso tutti i guerrieri, buoni e cattivi, verso gli eroi incompresi di galassie lontane eppure vicine, verso gli spettatori che sposano le loro battaglie e condividono le loro perdite. Nello stesso equilibrio perfetto che mantiene unito l’universo, la Forza diventa metacimema. Diventa arte allo stato puro.

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