La sceneggiatura di Directions – Tutto in una notte a Sofia, dello stesso Stephan Komandarev e di Simeon Ventsisavov, opera per simboli e poggia i suoi cardini su sei storie legate ad altrettanti taxi che circolano in una città desolata e tradita, costretta ad assecondare le vicende che trasformano la sua notte in una sorta d’espiazione, l’unica salvezza possibile per sfuggire un futuro distopico.
Il primo a entrare in scena è Mitko. Diventato tassista per sopravvivere alle difficoltà della sua impresa. Nel momento in cui il banchiere corrotto a cui ha chiesto un prestito gli nega il salvataggio e dà il via libera per il pignoramento dei suoi beni, cede alla rabbia e allo sconforto. È il lasciapassare che apre le porte alla tragedia, con l’uomo che rivolge la pistola dapprima contro il suo strozzino e poi contro se stesso. La notizia, diffusa e dibattuta in radio, fa da colonna sonora a un circuito di pensiero e di varia umanità che si snoda sul percorso degli altri cinque taxi, ognuno vettore di un racconto diverso che, guidato dalle complesse frange del destino, coinvolge passeggero e conducente in un drammatico rapporto in cui gli individui sembrano attoniti a fronte del loro stesso mostrarsi.
Con l’essenzialità che ricorda quella tipica del documentario d’inchiesta, Komandarev dirige facendo largo uso del piano sequenza, senza per questo mai concedere spazio alla retorica. Lo sguardo della sua macchina da presa avvolge ogni storia di un immarcescibile senso d’angoscia che la semplicità di una fotografia scarna e tetra, quella di Vesselin Hristov, amalgama con i tempi dell’attesa che a ogni curva diventa aspettativa, possibilità, rivoluzione, cambiamento. Ma tutto quel che avviene è in realtà già essenza stessa d’ogni uomo, nel suo silenzioso macerarsi e spiegarsi, nella ricerca convulsa di una speranza, di una luce, come quella del mattino che dopo tutto concede ancora la possibilità di credere, di non cedere al baratro della ragione, di ritrovare la direzione che fino all’ultimo s’era pensata persa.
A dir poco eccellente la prova di tutti gli interpreti, a cominciare da Gerasim Georgiev, “Mitko”, per finire con il “prete tassista” Stefan Denolyubov, per un lavoro che aveva già fatto parlare di sé a Cannes, era nella sezione Un certain Regard, e che dimostra come spesso più dei grandi budget – solo seicentomila euro per la pellicola di Komandarev – contano le buone idee.