Al 35° Torino Film Festival nella sezione collaterale After Hours sono state presentate due pellicole con protagonisti gli zombie: Les Affamès del canadese Robin Aubert e il film irlandese The Cured di David Freyne. Presi singolarmente le due opere non aggiungono nulla di nuovo al sottogenere horror creato nell’era moderna dal genio di George Romero con La notte dei morti viventi (1968) e i suoi seguiti – ma che ha l’antenato in Ho camminato con uno zombi (1943) di Jacques Tourneur – grande metafora dell’avvento dell’era consumistica post industriale e che ha delineato topoi e schemi narrativi ripresi nei decenni successivi nelle sue molteplici varianti.
Dal ’68 in poi i film sugli zombie hanno visto una produzione vasta per elementi distintivi a tutte le latitudini geografiche, con un proliferare di pellicole di livello differente per qualità. Rimanendo solo in quelli degli ultimi anni i risultati sono tra i più variegati con un coté politico-sociale-filosofico sempre presente, esplorando strade stilistiche postmoderne.
Un primo esempio lo abbiamo con Resident Evil (2002) di Paul W. S. Anderson – e i suoi ulteriori cinque seguiti. Ispirato a una serie di videogiochi della Capcom, è un esemplare estremo e dinamico di pellicola, dove l’aspetto ludico è prevalente. Abbiamo la presenza anche di animali zombi (dei cani) con un’umanità infettata dal T-Virus creato dalla Umbrella Corporation. Una variante dove gli animali sono protagonisti è Zombeavers (2015) di Jordan Rubin, in cui un gruppo di castori sono vittime di un incidente chimico. Tra splatter e teen movie, rimane una modello quasi unico ed esempio degradato del sottogenere.
Nell’ambito dei Blockbuster, dove il budget messo a disposizione dalle Major ha permesso l’utilizzo di grandi star, citiamo su tutti Io sono leggenda (2007) di Francis Lawrence e World War Z (2013) diretto da Marc Forster. Il primo è tratto dal romanzo di Richard Matheson con un Will Smith solitario medico, ultimo sopravvissuto a un virus che ha trasformato in zombi il resto dell’umanità, alla disperata ricerca di un vaccino (il romanzo parlava di vampiri); il secondo vede protagonista Brad Pitt coraggioso funzionario dell’ONU che cerca di salvare la famiglia e l’umanità in una guerra globale, altra pellicola tratta da un romanzo.
Il virus diventa sempre la causa scatenante della morte degli individui e la trasformazione in zombi, con i o il sopravvissuto/i che lottano per salvarsi oppure per trovare un antidoto per fermare il contagio. Esempio classico lo abbiamo con 28 giorni dopo (2002) di Danny Boyle e del seguito diretto dallo spagnolo Juan Carlos Fresnadillo nel 2007 28 settimane dopo. Restando in Inghilterra, abbiamo sullo stesso stile, ma con una variante militare e un finale dove gli zombi diventano un’evoluzione dell’umanità, La ragazza che sapeva troppo (2016) di Colm McCarthy, anche questo tratto da un romanzo (in questi ultimi anni sono stati scritti innumerevoli romanzi che danno il senso di quanto gli zombi abbiano un seguito tra il pubblico di lettori). Se ci spostiamo di latitudine e andiamo in Estremo Oriente, il film sudcoreano Train to Busan (2016) di Yeon Sang-ho ambienta nel proprio paese gli stessi processi narrativi, con l’aggiunta dello spazio claustrofobico del treno che porta alla memoria i film catastrofistici degli anni Settanta.
Tornando in Europa, abbiamo due esempi di cinema indipendente, dove l’aspetto horror è più marcato, come quello del francese La Horde (2009) di Yannick Dahan e Benjamin Rocher e dello spagnolo Rec – La paura in diretta (2007) di Jaume Balagueró e Paco Plaza (che poi ha visto diversi sequel). L’aspetto sociale è prioritario, visto che l’epidemia scoppia in periferia (Parigi o Barcellona) in quartieri disagiati o palazzi fatiscenti, con gli spagnoli che utilizzano la tecnica del mockumentary e i francesi una versione hawksiana del gruppo di polizziotti sotto assedio.
Arriviamo poi a un gruppo di film dove l’horror zombi viene ibridato con altri generi: la commedia, quasi comica, dell’inglese L’alba dei morti dementi (2004) di Edgar Wright, primo film della “Trilogia del Cornetto”, operazione tra le più originali e riuscite; Dead Snow (2009) di Tommy Wirkola variante norvegese di uno scontro sulle montagne innevate con un plotone di soldati tedeschi sorti dall’Oltretomba; Warm Bodies (2013) di Jonathan Levine, teen movie sentimentale tra una ragazza e un ragazzo zombi, in una società “normalizzata”; PPZ – Pride + Prejudice + Zombies (2016) di Burr Steers, esempio di steampunk in salsa zombi; e infine l’omaggio al cinema dei drive-in americani con l’operazione vintage tarantiniana di Grindhouse – Planet Terror (2007) del suo allievo Robert Rodriguez, dalla cifra stilistica eccessiva e trash.
Infine, l’aspetto umanistico e filosofico si possono notare in due opere minori dai risultati cinematografici differenti come Contagious – Epidemia mortale (2015) dell’americano Henry Hobson con il ritorno sullo schermo di Arnold Schwarzenegger, alle prese con la figlia che si ammala di una sindrome che trasforma gli adolescenti in zombi, in un dramma intimistico-esistenziale; oppure Open Grave (2013) dello spagnolo Gonzalo López-Gallego, alle prese con la ricerca di un antidoto contro l’epidemia zombi dove la memoria della Storia è una componente decisiva per i drammatici sacrifici della star sudafricana Sharlto Copley.
Tornando alle due pellicole presentate a Torino, Les Affamès può ricondursi a questi due ultimi film citati, con una scelta stilistica che lavora sulla sottrazione della messa in scena e l’ineluttabilità narrativa della fine dell’umanità, ridotta a contemplare colonne di oggetti comuni, come totem divinatori del passato della società consumistica morente. The Cured, forse, è quello più riuscito nella sua forma cinematografica, con una certa maturità nel profilmico e nello sviluppo diegetico della denuncia sociale, ricordando molto le pellicole citate di produzione inglese. Qui l’antidoto è stato trovato e in una Dublino lugubre e razzista, piena di tensioni sociali, si contrappongono i sani ai “guariti” che però non sono più accettati dalla società civile che li vive come il ritorno di mostri in famiglia.
C’è da dire vedendo che forse diventa difficile trovare nuove strade da seguire e il sottogenere sugli zombi inizia a mostrare la corda. Che sia l’inizio di una crisi? Restiamo in attesa di essere smentiti.