J è un quattordicenne sotto cura ormonale per mantenerlo in una fase prepuberale, in attesa di capire se diventare un maschio o una femmina. In poche parole questo è il soggetto di They dell’iraniana Anahita Ghazvinizadeh, presentato al 35 Torino Film Festival, pellicola prodotta da Jane Campion che ha puntato sul talento della giovane regista.
Ma They non è solo un film su un transgender e sulla sua complessa formazione dell’ identità. È molto di più: la storia di J è una sineddoche per mettere in scena una serie di ibridazioni, di confronti e passaggi identitari. Ed è significativo che a J si riferiscono tutti non come a un “lui” o a una “lei”, ma come un “loro”, nella pluralità della condizione vivente, identificazione di una persona collettiva.
In They si moltiplicano i confronti, le duplicazioni, i sottili passaggi di confini. Mentre i genitori sono fuori casa, arriva a trovarla la sorella maggiore, Lauren, con il suo nuovo fidanzato Araz. La sorella è un’artista performativa che vive per il mondo spostandosi da una residenza di artisti a un’altra, alla continua ricerca di un punto fermo per la comprensione della realtà. Anche Lauren è molteplice e il rapporto con Araz trasporta su un altro piano quello che vive J: il ragazzo di Lauren è iraniano e le differenze culturali convivono all’interno della loro vita di coppia. Un altro elemento di questi confini liquidi viene messo in scena nella lunga sequenza del pranzo domenicale della famiglia di Araz, Lauren e J: sono americani che s’inseriscono all’interno di una comunità di individui che parlano il Farsi, discutendo della vita in Israele e in altri paesi del Medio Oriente, mentre i bambini stanno preparando una danza curda per allietare la festività.
Non si tratta, quindi, in They di una vera mancanza di identità – fisica o culturale – al contrario, abbiamo la presenza contemporanea di elementi differenti, in una concezione plurale (e non singolare) dell’individuo, sia se si confronta con la propria sessualità, sia per quanto riguarda la composizione di coppia e familiare e, infine, anche per il retaggio storico e culturale. Come in una matrioska tematica, da J alla cultura Farsi, passando da Lauren e Araz, abbiamo un essi/loro che sostituisce l’io onnipresente, onnivoro ed escludente.
Anahita Ghazvinizadeh inquadra spesso J attraverso vetri, fino ad arrivare a una mancata messa a fuoco del personaggio, creando una forma estetica che rappresenta visivamente la definizione di J. La regista in They inizia con l’inquadratura di un albero e spesso il mondo vegetale viene messo in scena. J cura le piante della serra di casa e, quando arriva, Araz gli mostra le differenti tipologie: dai bonsai (che sono una metafora di J) a quelle che vivono per una stagione, muoiono e ricrescono (la vita di coppia), alle piante perenni, che possono perdere qualche foglia, ma sono sempreverdi (il patrimonio culturale di un popolo, iraniano o americano). Senza voler fornire delle certezze, la regista sceglie un registro di levità, del sussurro di J (quando cerca di recitare una poesia), del suo sguardo neutro, senza pre-giudizi per il mondo che la circonda. Una fotografia in media res di una vita posta di fronte alle scelte da effettuare per andare avanti.
Passato all’ultimo Festival di Cannes, They è un’opera delicata, curata nella messa in scena e con una sceneggiatura scritta in modo intelligente. Uno dei migliori film presenti al 35° Torino Film Festival.