Non avevamo mancato di farlo notare quando, parlando di Malarazza, sottolineavamo l’esistenza di un cinema che, pur uscito dall’alveo della più recente crime fiction italiana, si asteneva dalla tentazione di imitarne l’iconografia malavitosa e soprattutto di esaltare lo stile di vita e le azioni dei protagonisti. Analogo discorso può essere fatto per Gramigna, opera seconda di Sebastiano Rizzo che ribalta il darwinismo sociale degli inevitabili modelli di paragone forniti da serie come Gomorra e Suburra, scegliendo di raccontare un percorso umano opposto a quelli tracciati in questo tipo di storie. Il protagonista del film è infatti il figlio di un boss che si rifiuta di seguire le orme del padre, condannato all’ergastolo per i crimini commessi in qualità di capo del sodalizio camorrista. Ispirato a una storia vera, bisogna dire che Gramigna porta avanti il suo assunto con coerenza e senza fare l’errore di mostrare – anche solo come contraltare alle azioni di Luigi – quello che sarebbe il piatto forte di questo genere di film, ovvero la violenza scatenata dalla lotta per la conquista e il mantenimento del potere. Ciò che non succede sul piano dell’action accade in Gramigna dal punto di vista dei sentimenti, laddove a farla da padrone non sono le sparatorie e gli inseguimenti, ma piuttosto i tormenti e le difficoltà legate alla resistenza dell’ambiente rispetto alle scelte del protagonista.
Se la scelta di alternare la detenzione di Luigi – accusato di un reato mai commesso – con i flashback volti a ricostruire il percorso esistenziale che lo ha portato fino a quel punto serve per amplificare le emozioni messe in campo nel corso della vicenda, va da sé che Gramigna si attesti sui toni di un melodramma famigliare in cui i luoghi e le figure tipiche del filone gangsteristico rimangono dietro le quinte, detronizzate dall’accorato e doloroso percorso d’emancipazione del giovane protagonista. Rizzo dirige con un punto di vista esterno alla vicenda, ottenendo il massimo quando si tratta di mettere a punto la cornice del film – non a caso confezionata in modo impeccabile-, perdendo qualcosa, nel momento in cui bisognerebbe entrare dentro la testa dei personaggi per giustificare comportamenti che a volte sembrano scaturire senza gli adeguati presupposti psicologici. Bravi gli attori, tra cui vale la pena citare Teresa Saponangelo, nel ruolo della madre di Luigi, e Gianluca Di Gennaro, in quello del protagonista.