Brothers of the night, documentario di Patric Chiha, presentato nella sezione Visioni internazionali del Visioni Fuori Raccordo – Rome Documentary Fest non è propriamente un documentario. O almeno non secondo l’ideale comune. È piuttosto un cortocircuito fra il dispositivo documentaristico, che s’immerge nella realtà raccontata, e la costruzione grottesca ed espressionistica della messa in scena. Brothers of the night racconta la storia di alcuni ragazzi bulgari, di etnia rom, che si prostituiscono nel Rudiger, un locale gay viennese, base dei loro rapporti sessuali clandestini. Inaspettatamente, il documentario si apre con una sequenza onirico-grottesca, ai limiti del parodistico: tre prostituti parlano di una barca, litigano tra loro, poi fanno a turno per scambiarsi effusioni, infine uno di loro balla con un travestito. Tutto acquista un senso dopo, quando si arriva alle interviste che introducono i personaggi del film e rendono più chiaro l’approccio narrativo originale ed inusuale di Chiha. Infatti, i ragazzi del Rudiger sembrano allo stesso tempo veri e “cinematografici”, finzionali, restituendo allo spettatore due immagini totalmente diverse e speculari di sé. L’effeto è straniante e non sempre piacevole, ma il risultato è senza dubbio audace. Quello che si ottiene è il confronto fra un immagine il più possibile reale dei protagonisti ed un’altra ideale, non tanto filmica, quanto “filmizzata”. I prostituti sembrano divi di altri tempi: fumano con enfasi da “ragazzi selvaggi”, a metà fra James Dean e dei bikers scapestrati, o meglio dei “cocalar” (data l’etnia). A tal proposito, risultano fondamentali la fotografia, caratterizzata per lo più da tagli di colore netti, soprattutto blu, viola, rosso e verde, e l’uso della musica extradiegetica. Una colonna sonora fatta di musica classica e remix di brani popolari dell’est europa accompagna le avventure dei ragazzi del Rudiger, inserendosi perfettamente nella dimensione del cortocircuito.
Allo stesso tempo però, nelle sequenze in cui la realtà riemerge con forza, i protagonisti sono costretti a mettersi a nudo e a rivelare la tragica condizione di stallo e sofferenza in cui si trovano. Qui ricordano vagamente i ragazzi di vita di Pasolini, immaturi, selvaggi e spacconi, ma anche drammaticamente nudi, per l’appunto. I personaggi di Brothers of the night sembrano intrappolati fra la realtà logorante, avida e circolare della protituzione e la nostalgia di un passato e di un’identità ormai lontana, che lo spettatore può cogliere attraverso le immagini su facebook delle loro mogli e dei loro bambini. Spesso i ragazzi del Rudiger parlano di un futuro nebuloso fatto di sesso e soldi, ma allo stesso tempo proiettano in quella fantasia sfocata la violenza e la crudezza, quasi disperata, del presente.
L’obiettivo diventa un tornare al punto di partenza, in Bulgaria, per poi riniziare una nuova vita non si sa bene verso dove. In questo senso, Brothers of the night riesce a restituire la percezione di una spirale drammatica, da cui sembra impossibile uscire e che a tratti “aggredisce” lo spettatore con momenti di naturelezza spiazzante. Un’operazione, quella dell’austriaco Patric Chiha che, nella sua originalità e stravaganza, risulta abbastanza difficile da valutare. Pesa sul documentario una narrazione che si appiattisce troppo su se stessa, rendendo difficoltosa la progressione della storia, che sembra procedere alla “deriva”. In merito all’approccio registico, invece, l’originalità del cortocircuito narrativo porta l’autore ad una ingerenza forse eccessiva verso la realtà che racconta. A questo punto risulta complicato capire se questo “gioco” di compenetrazione fra realtà e finzione abbia precluso percorsi narrativi più vicini alla realtà raccontata, oppure abbia esalta uno sguardo autoriale iper-realistico e tangibile.
Emanuele Paragallo