La sezione Alice nella Città, indipendente ma organica alla Festa del Cinema di Roma, come tutti gli anni ha offerto un panorama internazionale di pellicole per ragazzi ed adolescenti davvero sorprendente. Fra i principali temi affrontati quello del rapporto genitori-figli e dell’incontro-scontro generazionale sono certamente tra i più esplorati, spesso indagando prospettive originali e di forte impatto sociale come nel caso dell’opera vincitrice del Premio per il Miglior Film, assegnato in questa XII edizione a The best of all worlds (Die Beste Aller Welten), diretto dal regista austriaco Adrian Goiginger e proveniente dai successi della Berlinale 2017.
The best of all worlds, tratto dall’omonimo romanzo di Goiginger (forse autobiografico), racconta in modo crudo e senza troppe concessioni allo spettatore, una storia vera, quella di Adrian, un bambino di sette anni che vive con la madre tossicodipendente, Helga, e con la sbandata comunità dei suoi amici, alle prese con il quotidiano consumo di droghe e alcool e con le mille invenzioni per nascondere, al figlio ed ai Servizi sociali, la realtà dei fatti. In una Salisburgo anni Novanta della marginalità e della periferia – solo in una scena sotto la pioggia s’intravede il bellissimo centro della cittadina austriaca come lontano ed avvolto da una fitta nebbia – la giovane madre di Adrian tira avanti con lavoretti saltuari, come vendere hamburger in un chiosco, dai quali viene licenziata a causa della sua vita irregolare: il suo immenso amore per il figlio ed il desiderio di offrirgli una vita ‘normale’ la spingono a fare dei tentativi disperati per uscire dalla dipendenza (le crisi di astinenza vengono vissute esplicitamente di fronte al bambino che pensa la madre abbia la febbre) e vivere una vita più ‘ordinaria’, ma le ricadute sono molte, soprattutto legate alla convivenza con Gunter, un compagno amorevole ma totalmente dipendente da droghe pesanti e dalla frequentazione abituale con personaggi loschi e pericolosi quali ‘il Greco’, lo spacciatore locale che entra ed esce da casa loro attraverso il balcone e che un giorno, sotto l’effetto di sostanze, aggredisce il bambino costringendolo a bere vodka. L’immaginazione e le storie di esploratori, maghi, mostri ed eroi, aiuteranno madre e figlio a sopravvivere (il bambino ha terribili incubi che prevedono però un cavaliere buono che combatte i misteriosi demoni della grotta), aprendo una luce di speranza e redenzione future.
“Non volevo realizzare un film sulle droghe – ha affermato il regista – ma sull’amore puro di una madre per il figlio al quale lei desidera dare, pur nella situazione in cui si trova, il migliore dei modi possibili”. Interessante l’ambientazione, molto veridica nei dettagli fisici e psicologici, nella sciatteria e nella sporcizia interiori ed esteriori, nel racconto di una realtà parallela che il mondo della tossicodipendenza vive, autoescludendosi ed al tempo stesso venendo rifiutata ed aborrita da una società ‘senz’anima’.
Ci è voluto coraggio per selezionare un’opera come questa (perfetta invece per la Berlinale) nella sezione Alice nella Città, ed anche per assegnarle un premio: di questa libertà intellettuale si deve essere grati sia ai selezionatori e sia alla giuria formata da ragazzi delle scuole. La motivazione che è stata data dalla giuria per l’assegnazione del Premio è stata la seguente: “un’opera ruvida, una matura dichiarazione d’amore di un figlio nei confronti della madre. Un racconto potente che, con fantasia e speranza, non racconta ai bambini che i mostri esistono, ma che possono essere sconfitti”.