Si è svolta nel penultimo pomeriggio romano alla dodicesima edizione della Festa del Cinema di Roma la proiezione della pellicola recentemente restaurata Sacco e Vanzetti, il film di Giuliano Montaldo del 1971 che narra la storia degli immigrati italiani Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti ingiustamente giustiziati dopo un lungo processo per duplice omicidio e rapina, a cui i due non avevano mai partecipato.
Interpretati magistralmente da Riccardo Cucciolla, nel ruolo di Nicola, il bravo calzolaio e da Gian Maria Volontè, nei panni di Bartolomeo, il buon pescivendolo, il film è ambientato nella Boston degli anni Venti, dove la politica, i tribunali e la polizia mettono in atto una spietata caccia alle streghe nei confronti di chi non è allineato al capitalismo; Nick e Bart non soltanto sono due anarchici che cercano di fare propaganda pacificamente per diffondere nell’opinione pubblica quanto lo sfruttamento dei lavoratori sia sbagliato, ma sono anche immigrati: un film che avrebbe potuto essere girato anche ai nostri giorni, in tutte le città del mondo.
Il film dimostra come il senso del processo fu una condanna esemplare e assunse un chiaro significato politico volto a punire e scoraggiare qualsiasi azione giudicata come sovversiva. Ma Sacco e Vanzetti è anche un ritratto del suo tempo: sebbene ambientato negli Stati Uniti, sono forti i richiami agli eventi politici del nostro paese. La scena più volte ripetuta del volo dell’anarchico Andrea Salcedo, compagno dei due protagonisti, dalle finestre del posto di polizia di New York fa chiaramente pensare alla morte di Giuseppe Pinelli, avvenuta durante l’interrogatorio per la strage di Piazza Fontana a Milano, nel dicembre del 1969. Giuliano Montaldo fu infatti tra i firmatari della lettera aperta alle’Espresso contro il commissario Luigi Calabresi, che curava le indagini sulla strage e che fu ritenuto artefice di negligenze e omissioni nell’accertamento delle responsabilità circa la morte dello stesso Pinelli.
Nel film è esplicito il pensiero anarchico anche in chiave moderna, in un mondo dove la globalizzazione vuole dire nuovi muri e nuove modalità di sfruttamento. Sono le parole di Bartolomeo in aula a risuonare ancora forte e chiaro: “gli anarchici pensano ad un mondo senza frontiere, anarchia significa libertà, abolizione della società divisa in classi” e quelle di Nicola, nel suo italiano fortemente dialettale, ad arrivare ancora più direttamente: “io voglio che la gente devono avere tutti da campà.”
Due registri diversi, così come saranno diverse le reazioni alla condanna, fiero e combattente Bartolomeo, che prima di sedersi sulla sedia elettrica dichiarerà ancora una volta “Viva l’anarchia“; disperato e straziato Nicola, apparentemente rassegnato, ma che consegna il suo testamento spirituale al figlio nella lettera scritta appena prima dell’esecuzione: “ogni qualvolta nella vita sarai felice, di non essere egoista: dividi sempre le tue gioie con quelli più infelici, più poveri e più deboli di te e non essere mai sordo verso coloro che domandano soccorso. Aiuta i perseguitati e le vittime perché essi saranno i tuoi migliori amici, essi sono i compagni che lottano e cadono, come tuo padre e Bartolomeo lottarono e oggi cadono per aver reclamati felicità e libertà per tutte le povere cenciose folle del lavoro.”
Il percorso del restauro, avvenuto attraverso la collaborazione di Unidis Jolly Film, Istituto Luce, Cineteca di Bologna e Rai Cinema, ha creato un forte nesso con Amnesty International, l’organizzazione internazionale che lotta per i diritti umani dal 1961, che ha scelto la ballata Here’s to you composta da Ennio Morricone e cantata da Joan Baez, colonna sonora del film, come inno per il diritto alla vita. Antonio Marchesi, presidente di Amnesty International in Italia ha partecipato alla presentazione del film spiegando l’importanza ancora oggi di raccontare la storia di Sacco e Vanzetti, “una storia antica che parla di innocenti finiti sulla sedia elettrica – che è una tortura.” Sacco e Vanzetti – prosegue Marchesi “erano stranieri, oppositori politici e quindi doppiamente vulnerabili.” Per questo oggi è importante raccontare la loro storia, “perché ci sono tanti Sacco e Vanzetti nel mondo che continuano a subire torture.”
In sala, oltre a Giuliano Montaldo, Ennio Morricone, applauditi calorosamente dal pubblico, erano presenti anche Rosanna Fratello, che nel film interpreta Rosa, la moglie di Nicola, e Maria Fernanda Sacco e Giovanni Vanzetti, nipoti di Nicola e Bartolomeo.
A Giuliano Montaldo, classe 1930, cineasta da sempre impegnato a mettere in scena le storture del potere, quello che l’ha spinto a girare Sacco e Vanzetti è stato l’insofferenza per l’intolleranza. “L’intolleranza è una spinta all’odio, alle guerre, alle catastrofi e alla pena di morte” prosegue Montaldo, contento che la ballata Here’s to you sia stata scelta da Amnesty proprio per sensibilizzare l’opinione pubblica sulle troppe morti considerate legali, come quelle che avvengono sulla sedia elettrica. E racconta come ci è caduta Joan Baez nel film: era a New York alla ricerca di un co-produttore americano, e fuori dall’albergo si imbatte in Furio Colombo, all’epoca giornalista della Rai, a cui disse che Ennio Morricone aveva già composto una canzone e che avrebbe voluto proprio la Baez ad interpretarla e fu proprio Colombo a dargli l’occasione di incontrare la cantante. Lei, attivista per i diritti civili, accettò e riuscì a dare una magnifica interpretazione di Here’s to you, senza la presenza effettiva dell’orchestra, che Morricone aveva registrato precedentemente e poi aveva unito alla voce della cantante in fase di post-produzione. E l’effetto è quello che ancora oggi conosciamo e che ci commuove ogni volta.
Nel 1977, cinquant’anni dopo l’esecuzione avvenuta il 23 agosto 1927, il governatore democratico del Massachussetts Michael Dukakis ha riconosciuto ufficialmente l’errore giudiziario, riabilitando la memoria di Sacco e Vanzetti; il lungo percorso è stato raccontato dalla mostra di Amnesty International NOVANTA/QUARANTA, che ha ricordato appunto i novant’anni dall’esecuzione e i quaranta dal riconoscimento dell’errore giudiziario.
Lo storico Luigi Botta introduce il film attraverso un filmato di 4’ recentemente riscoperto e restaurato: si tratta dell’unica testimonianza presente del funerale di Sacco e Vanzetti e del loro percorso del dolore verso il cimitero di Forest Hill. The March of Sorrow-The Good Shoemaker and the Poor Fishpaddler contiene immagini riprese da operatori e fotografi anonimi, che sfidarono il divieto tassativo delle autorità locali di riprendere i momenti immediatamente successivi all’esecuzione dei due italiani. Il cortometraggio è frutto di una serie di circostanze più o meno casuali che hanno fatto arrivare il filmato originario, per lasciti ereditari, alla Public Library di Boston e che nel 2013 Jerry Kaplan e Robert D’Attilio hanno ridotto, operando un restauro filologico e conservativo che mantiene un fotogramma, l’ultimo, contenente la dichiarazione del governatore del Massachussetts, che aveva spinto affinché fossero dichiarati colpevoli e giustiziati, “Thank God it’s all over”, non immaginando minimamente la portata politica e sociale che quel caso avrebbe avuto negli anni a venire.