Film da Vedere

‘Amour’, l’amore e la senilità visti da Michael Haneke

Vedere Amour è un’esperienza irreversibile: un film sull’amore fine a se stesso, sull’amore come antidoto alla disillusione. La vita tuttavia rimane intransigente e spietata e dirà sempre l’ultima parola. Lo spettatore di Haneke non può essere mai semplicemente un consumatore ma deve esserci, deve partecipare criticamente confrontandosi con se stesso e le proprie domande

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Amour, un film drammatico francese del 2012 scritto e diretto da Michael Haneke. Ha vinto l’Oscar al miglior film straniero alla 85ª edizione della cerimonia dei Premi Oscar 2013. Inoltre, presentato in corcorso alla 65ª edizione del Festival di Cannes, ha vinto la Palma d’oro. Con Isabelle Huppert, Jean-Louis Trintignant, William Shimell, Emmanuelle Riva.

Sinossi

Anne e George, sono due ottantenni vivaci, colti e impegnati. Una grande complicità intellettuale  fa condividere loro una quotidianità esemplare, dettata dalla dignità, dall’amore e dal rispetto reciproci. Seguono i concerti dei loro allievi e condividono le giornate ascoltando musica e leggendo libri nella loro splendida casa piena di storia e arte.

Un giorno Anne in cucina ha come una pausa dalla vita, rimane incantata in una posizione a occhi aperti scollegata da quello che la circonda. Un’occlusione alla carotide deciderà per un intervento che non avrà un buon esito: tornerà a casa in carrozzella con un emiparesi sinistra e tutte le difficoltà da affrontare. Riusciranno ad organizzarsi i due coniugi e l’amore assoluto di George e la grazia di Anne non verranno a mancare fino a quando un secondo infarto le impedirà anche l’uso della parola.

Difficoltà enormi si presenteranno oltre alla esplicitazione da parte di Anne di non voler mai più tornare in ospedale e i suoi tentativi di convincere George della sua stanchezza di vivere in quelle condizioni.

I confronti tra il padre e la figlia sul da farsi saranno impietosi: “parlare seriamente” come esige George vuol dire non ricadere in ipocrisie irrispettose nei confronti della intimità di Anne che non vuole esibire la propria condizione. George non ha infatti il “tempo di preoccuparsi delle preoccupazioni altrui”, è completamente devoto alla condizione di Anne e ai suoi pudori. Spesso confronti difficili li vedranno protagonisti come l’ostinazione di Anne a rifiutare l’idratazione, fino ad un esito non previsto.

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La grandezza di Haneke farà seguire all’imprevisto finale di Amour una pausa di riflessione accompagnata dalla visione di alcune immagini artistiche quasi a suggello di un paesaggio umano tutt’altro che consolante: una serie di quadri che sembrano ritrarre una pausa al tormento che accompagna la vita. Un esemplare martirio psicologico sentimentale conduce il filo del film sotto l’attenta sorveglianza di Haneke, sempre intransigente e inesorabile professionista esperto ad inquietare anime sopite. La sua sobrietà scientifica e impietosa non gli consente, come in nessuno dei suoi precedenti film, di sostare senza turbare, di acconsentire all’assuefazione percettiva senza replicare.

Lo spettatore di Haneke non può essere mai semplicemente un consumatore ma deve esserci, deve partecipare criticamente confrontandosi con se stesso e le proprie  domande. Deve diventare “vittima consapevole” come sostiene il regista, perché il suo cinema deve destabilizzare.

Vedere Amour è un’esperienza irreversibile: un film sull’amore fine a se stesso, sull’amore come antidoto alla disillusione. La vita tuttavia rimane intransigente e spietata e dirà sempre l’ultima parola. Le magnifiche inquadrature finali, in tipico stile hanekiano, lasciano aperti, come sempre, infiniti punti di domanda, perché la risposta non c’è e il rifiuto dell’”happy end” rimane “l’unico comportamento onesto a disposizione dell’arte cinematografica”. Parola di Haneke.

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