Paolo Taviani ha dichiarato che se non si fosse chiamato Una questione privata (come il romanzo di Beppe Fenoglio, da cui è liberamente tratto), il film avrebbe potuto benissimo intitolarsi L’uomo che corre.
Luca Marinelli, infatti, il protagonista Milton, percorre affannosamente le distanze da una postazione partigiana all’altra, alla ricerca del suo amico e rivale in amore, Giorgio (Lorenzo Richelmy), nel tentativo di salvarlo dai fascisti: per affetto, ma soprattutto per la ricerca di una verità che solo lui può conoscere, quella di un possibile tradimento con la donna amata da entrambi, Fulvia (Valentina Bellè).
Una questione privata: la trama
Estate del ’43. Tra i boschi delle Prealpi piemontesi tre ragazzi vivono l’estate dei grandi amori. Fulvia è amata da Milton, introverso e appassionato, e Giorgio, solare ed estroverso. Lei sembra interessata a entrambi. Ma non c’è tempo per crescere. In un anno Milton e Giorgio sono diventati partigiani e affrontano la vita e la storia. La governante di Fulvia, incontrata per caso da Milton, gli insinua un dubbio pesante: la ragazza, forse, ha avuto una storia con Giorgio. Per Milton si ferma tutto: la lotta partigiana, le amicizie maschili, l’odio per i fascisti, e corre attraverso le nebbie delle Langhe per trovare Giorgio. Che nel frattempo è stato fatto prigioniero dai fascisti…(Dal sito di Filmitalia)
Una questione privata: un triangolo amoroso
È la storia di un triangolo amoroso, raccontato chissà quante volte dalla tragedia greca in poi; accompagnato, in più, dalla canzone Somewewe over the rainbow, sfruttatissima nel cinema. Ma una storia privata più un’altra storia privata, più un’altra ancora, fanno la storia collettiva, e Paolo Taviani chiarisce: non è detto che bisogna essere a tutti i costi originali nella scelta delle cose fondamentali della vita.
È giusto raccontare ancora la Resistenza
Lo sfondo è quello della Resistenza che i Taviani tornano a raccontare, trentacinque anni dopo La notte di San Lorenzo, perché è giusto così, è giusto continuare a farlo per i giovani che non la conoscono abbastanza. Ben vengano le storie che hanno ancora l’urgenza di essere raccontate (ora più che mai) e gli autori che sanno ascoltarla e darle voce.
È vero: Resistenza e partigiani non sono valori condivisi. Basta leggere la recensione livida del Foglio, dopo l’uscita del film, dal titolo Alla festa del Cinema ci si diverte, basta non vedere il film di Taviani. Non si maltratta così l’incolpevole Fenoglio, caricandolo di una retorica che non gli appartiene. Non si maltrattano così le scolaresche, costrette a vedere il film come parte del programma scolastico. L’uso didattico dei film, almeno quello, lasciatelo decidere agli insegnanti., che se hanno sempre attinto alla filmografia dei Taviani una ragione c’è.
La Resistenza come sfondo della storia
In realtà, Milton, nel suo vagare quasi impazzito, dimentico di sé e della lotta, consuma un’ossessione amorosa che è la stessa descritta da Fenoglio, il quale voleva liberarsi dall’etichetta di autore della Resistenza. Forse trattandola come sfondo e non da protagonista, con questo romanzo avrebbe fatto il salto verso una scrittura secondo lui meno autobiografica e più matura. Aveva quarant’anni quando è morto, non sappiamo se la promessa sarebbe stata mantenuta.
Anche Paolo Taviani dice che non si può raccontare sempre la Resistenza, ma lo fa ancora a ottant’anni perché ritiene, giustamente, che sia ancora importante; ce la rappresenta, questa volta, copiando e tradendo un’opera letteraria poco conosciuta e molto significativa (mantenendo però alquanto fedeli i dialoghi).
Una questione privata e il racconto della Resistenza
Al film vengono aggiunte due scene, commoventi, potenti, irrinunciabili e molto belle. Ciò che alcuni definiscono retorica, è al contrario scelta necessaria, se vogliamo continuare a trasmettere i valori fondanti di una democrazia, claudicante, confusa, imperfetta, che peggiora mentre ci si allontana sempre più, e sempre più colpevolmente, dalle sue origini.
Luca Marinelli e la sua immedesimazione
L’interpretazione di Luca Marinelli è stata paragonata da Paolo Taviani alle prime di Gian Maria Volontè, allo stupore che nei fratelli del cinema italiano avevano regalato la sua presenza in scena, i silenzi, le pause, l’immedesimazione. Certo Marinelli è un Milton un po’ ingombrante rispetto a quello secco e lungo, e brutto, del romanzo, ma ugualmente fragile con la disperazione che si porta addosso. Un Orlando Furioso che sradicherebbe anche gli alberi, senza nessuno che vada a recuperargli il senno sulla luna.
Una diversa, più credibile, ambientazione
Altro personaggio, la nebbia. Le castagne sul terreno e i bei colori autunnali sfumano nell’umidità che bagna i vestiti, i corpi, le sigarette e confonde i pensieri, fino a perdersi in quel mare di latte che è anche di Fenoglio. Di Fenoglio però non sono le colline, non le sue Langhe, oggi trasformate in ordinatissimi vigneti; bensì quelle della Val Maira (la stessa del Vento fa il suo giro di Giorgio Diritti). Da allora il territorio è cambiatissimo e quindi si è dovuta scegliere una zona più in sintonia con le difficoltà dei partigiani, tagliando i paesaggi mozzafiato per evitare effetti da cartolina.
Rispettare e tradire il romanzo di Fenoglio
Paolo Taviani, e anche Vittorio che ha partecipato direttamente alla sceneggiatura e alla regia dietro le quinte, si sono concessi un finale diverso da quello tanto discusso del romanzo, pubblicato postumo. Una chiusura che potremmo definire anch’essa molto privata, e che sottolinea le intenzioni di porre al centro della narrazione la vicenda personale di un giovane folle d’amore. È l’ultima frase di Milton a chiarirlo. Ma un’ambientazione partigiana non poteva che farsi anch’essa personaggio, con esiti coerenti a tutta la filmografia dei due autori.
Il film è stato prodotto da Stemal Entertainment, Ipotesi Cinema, Les Films d’Ici, Rai Cinema. Distribuito da 01Distribution per l’Italia.
Il film si puó vedere su RaiPlay
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