Era l’anno 1969 e due fuoriclasse del cinema italiano, Nino Manfredi e Dino Risi, si ritrovarono a collaborare (dopo Venezia, la luna e tu, Le bambole, I complessi, Operazione San Gennaro e Straziami ma di baci saziami) in un film profetico, anticipatore, che preannunciava la massiccia diffusione di quell’immaginario erotico utilizzato spregiudicatamente dalle multinazionali per incrementare esponenzialmente la circolazione delle merci. Il soggetto era di Ruggero Maccari, Fabio Carpi, Dino Risi e Bernardino Zapponi, cui si aggiunse, in fase di sceneggiatura, la mai troppo celebrata Iaia Fiastri (a lei dobbiamo quel capolavoro che è Basta guardarla di Luciano Salce). Il risultato fu un pamphlet tagliente e divertente allo stesso tempo, in cui Manfredi poté esibire il suo immenso talento, interpretando sette diversi personaggi, accumunati da un rapporto complicato, imbarazzato e degenerato con il sesso. L’ultimo episodio, che dà il titolo all’intero film, Vedo nudo, probabilmente – chi scrive ne è persuaso – costituì l’idea di partenza che spinse gli interessati a realizzare il progetto, laddove contiene l’intero senso dell’operazione e, in definitiva, risulta il più elaborato e meglio realizzato. La mano di Maccari si avverte in particolare nei capitoli minori (Guardone e Udienza a porte chiuse) in cui Manfredi, alla stregua del Gassmann visto in Se permettete parliamo di donne di Ettore Scola, si produce in due piccoli, macchiettistici personaggi dalla sicura resa comica.
Ciò che però costituisce l’asse portante del film è, come si diceva all’inizio, il tema della degenerazione dello sguardo, ovvero quella tendenza a svelare – è proprio il caso di dire – tutto ciò che si manifesta all’interno dello spettro della visione. Tale deriva, causata dalla strumentalizzazione della recente liberazione sessuale attuata dal capitale, provocò la prima, grande epidemia di quelle nevrosi di massa che si intensificheranno sempre più, fino ai giorni nostri, per la gioia degli psicoterapeuti, ultimo baluardo messo in piedi per mantenere l’ordine sociale e impedire, soprattutto, una diminuzione della produttività dei singoli (in Vedo nudo, Umberto D’Orsi, l’impareggiabile caratterista, interpreta, per l’appunto, uno psichiatra che tenta di interpretare il malessere di Nanni, cercando anche di spiegargli il motivo delle sue defaillance sessuali). Vedo nudo, d’altronde, non è un film in cui davvero si ride, e Risi, comprendendo assai bene questa circostanza, preferì ridurre il cuore narrativo del film (rappresentato, si diceva, dall’episodio che dà il nome alla pellicola), contornandolo di altre più modeste situazione comiche, che alleggeriscono, in modo provvidenziale, la sostanziale serietà dell’assunto di fondo. Vediamo Nanni (Manfredi) tornare nella sua bella casa borghese, con arredamento minimale ante-litteram, che presagiva lo stile a venire dei successivi anni Settanta. Il suo rapporto, anch’esso consumistico, con il sesso (è un pubblicitario con il pallino del nudo e della pubblicità erotica) finisce per sfociare in un disagio, un disturbo, che neanche una clinica specializzata in problemi di dipendenza sessuali riesce a debellare del tutto (in realtà, la necessità dello svelamento forsennato, del ‘vedere nudo’, non viene eliminata, solo ‘riformulata’ e ‘decentrata’).
Chi scrive non sa se all’epoca della sua uscita il film venne censurato; Vedo nudo, però, rispetto a tante altre pellicole della commedia all’italiana di quel periodo, contiene un’enorme quantità di corpi di donne esposti senza veli; il paradosso è, dunque, che il sesto lungometraggio a episodi di Risi sfruttava proprio, e senza remore, il fenomeno che intendeva stigmatizzare, incarnando una sorta di insuperabile circolo vizioso, cui, poi, sarà sempre più difficile sottrarsi. D’altronde se si osserva il trailer dell’epoca, contenuto nella sezione extra del dvd, non potrà sfuggire quanto la morbosità costituisca uno dei principali grimaldelli pubblicitari agitati per attirare il pubblico malizioso di un’Italia agli albori del processo d’industrializzazione selvaggio (assai stigmatizzato da Pier Paolo Pasolini), ansioso di partecipare al grande banchetto consumistico che lo sviluppo economico prometteva (e aveva già in grande parte realizzato).
Ecco, allora, che Vedo nudo, alla luce di tali considerazioni, può essere considerato un film tutto sommato atipico, quantunque si tentò in tutti i modi (certamente gli smaliziati produttori Pio Angeletti e Adriano De Micheli remarono in tale direzione) di farlo rientrare in un genere consueto, che non si discostasse troppo dal gusto dell’epoca, turbando eccessivamente le anime belle (prevenendo, così, una censura in quegli anni molto attiva). Consigliamo, quindi, di recuperare prontamente il film di Risi con Manfredi, anche e soprattutto per fruire dell’ottimo master reso disponibile da CG Entertainment, che permette di godere dello splendore originale della pellicola. Un’occasione da non lasciarsi sfuggire.
Pubblicato da Medusa e Mustang Entertainment e distribuito da CG Entertainment, Vedo nudo è disponibile in dvd, in formato 2.35:1, con audio Dolby Digital 2.0 e sottotitoli per non udenti. Nella sezione extra: “La bulimia dello sguardo” di Gianni Canova; Trailer.
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