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Festa del Cinema di Roma: Il linguaggio poetico, l’impatto visivo notevole e l’omaggio al cinema rendono The movie of my life un prodotto gradevole ed efficace

Nonostante una trama piuttosto elementare, The movie of my life, diretto dal regista brasiliano Selton Mello, presenta diversi elementi pregevoli che lo impreziosiscono, rendendolo in fin dei conti un prodotto abbastanza efficace

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Una trama piuttosto elementare quella di The movie of my life, diretto dal regista brasiliano Selton Mello e proiettato alla Festa del Cinema di Roma, che, nonostante la struttura semplice e lineare e una narrazione non sempre equilibrata che pecca forse nell’alternare punti di eccessiva dilatazione a momenti probabilmente non sufficientemente approfonditi, presenta diversi elementi pregevoli che lo impreziosiscono, risultando essere in fin dei conti un prodotto abbastanza efficace che riesce a dialogare con lo spettatore.

Un Vincent Cassel particolarmente carismatico e intenso, nonostante il ruolo abbastanza marginale, una prestazione del resto del cast di buon livello oltre alla palese abbagliante bellezza di due delle interpreti femminili (Bruna Linzmeyer e Bia Arantes) che certo non guasta, la splendida colonna sonora costituita prevalentemente da opere di cantautori francesi e una fotografia che sceglie accuratamente luci e inquadrature in modo tale da ottenere un impatto visivo e un’estetica notevoli, concorrono a fare di quest’opera un lavoro apprezzabile e compensano le sue mancanze che, seppur evidenti, possono essere perdonate in favore delle qualità. Ispirato al romanzo dal titolo Un padre da film dell’autore cileno Antonio Skármeta, ma ambientato in Brasile nel 1963, il film racconta le vicissitudini di un giovane professore di origini frano-brasiliane fortemente tormentato dall’assenza del padre, pilastro e suo punto di riferimento fondamentale, che ha abbandonato la famiglia senza spiegazioni, provocando in lui una profonda ferita e un doloroso senso di perdita intorno al quale ruotano molti dei suoi vissuti. Gran parte della narrazione si costruisce su questa assenza e sulle sue conseguenze, sulle insicurezze del giovane ma anche sulle sue risorse, esito degli insegnamenti e delle condivisioni sulla base delle quali si sono formati la sua personalità e il suo senso di sé e ai quali si aggrappa spasmodicamente per mantenersi stabile. La voce fuori campo del protagonista esprime dei concetti, spesso, appunto, nella forma di ricordi delle parole del padre, che non si possono certo definire esattamente originali ma che, posti all’interno di questa cornice, non disturbano e in qualche modo riscaldano il racconto.

Vi è inoltre un’esplicita celebrazione del cinema che per quanto, anche in questo caso, non certo vista per la prima volta, è sempre emozionante e piacevole da vedere. L’entusiasmo e il coinvolgimento del ragazzo solo perché si trova all’interno di una sala cinematografica, il suo conoscere già tutto su un film per averne sentito parlare alla radio, lo scegliere il cinema come luogo del primo appuntamento e il fatto che il padre abbia scelto di lavorare come proiezionista proprio nel luogo a lui più caro e fonte di emozioni, sono tutti piccoli omaggi alla Settima arte, i quali, in qualche modo, anche se non originali, contagiano chi si riconosce nella stessa passione. L’ossequio al cinema avviene in un’occasione anche per contrasto, rivelandosi probabilmente proprio per questo discretamente incisiva, quando al personaggio più ostico e sgradevole viene fatto pronunciare che “Il cinema non è altro che un posto buio dove puoi vedere solo le vite degli altri e sprechi due ore della tua”, frase che striderebbe nelle orecchie di qualsiasi cinefilo, evocando ulteriori slanci in difesa della propria passione prediletta.

Tre amori importanti, quindi, quelli del giovane protagonista, primo tra tutti quello per il padre, sulla base del quale si è costruito il suo essere uomo; quello per la ragazza di cui si infatua, del quale i primi passi, le paure, gli imbarazzi, la passione, ci vengono raccontati attraverso immagini e dialoghi che si uniscono in modo a tratti poetico; e, infine, quello per il cinema. Tre flussi affettivi che confluiscono in un unico corso a costituire la linfa vitale che lo anima e che alimenta l’essenza del film.

È un’opera che valorizza i sogni, la poesia, l’immaginazione, che dà loro forma attraverso l’indugiare su esterni suggestivi, la scelta di bellissimi primi piani (ve ne è uno di Cassel davvero magnetico) o di inquadrature armoniche e incantevoli come quella (una tra tante), dalla luce perfetta, della ragazza alla finestra vista dall’esterno mentre piove e, infine, mediante l’espressione verbale sia in termini di monologo che dialogo.

La cosa che mi piace di più al mondo è l’immaginazione. Non vedo l’ora di andare in vacanza per poter immaginare di più

É una frase semplice, innocente, nella quale però è facile identificarsi e trovare risonanza emotiva, che esemplifica bene le caratteristiche e le qualità di questo film.

  • Anno: 2017
  • Durata: 113'
  • Genere: Drammatico
  • Nazionalita: Brasile
  • Regia: Selton Mello

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