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Festa del Cinema di Roma: Cabros de mierda di Gonzalo Justiniano, un piccolo e prezioso film cileno che brilla tra le nuove proposte della manifestazione

Gonzalo Justiniano riesce a far convivere tenerezza e passione nell'ambito di un contesto dolorosissimo, esaltando la forza e la vitalità caratteristiche di un popolo che ha subito tanto. Cabros de mierda è un’espressione che individua il connubio tra tenerezza e dolore che permea l’intera opera

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Cabros de mierda di Gonzalo Justiniano, presentato in terza giornata nella selezione ufficiale della Festa del Cinema di Roma, è la drammatica fotografia della vita quotidiana all’interno di uno dei tanti poveri villaggi cileni durante quello che si può definire senza esitazione, uno dei periodi più bui e crudeli della storia dell’umanità, l’atroce dittatura di Augusto Pinochet, responsabile del genocidio di un numero ancora oggi sconosciuto di uomini e donne, commesso spietatamente in un arco di tempo che va dal 1973, anno in cui prese il potere con un colpo di stato, al 1990, quando finalmente lo perse, dopo aver torturato e massacrato indistintamente chiunque considerasse arbitrariamente contrario o di ostacolo alla sua ideologia.

Ambientato in un piccolo paese alla periferia di Santiago del Chile nel 1983, il lavoro del regista cileno è un’opera dolorosa e nel contempo dolce e appassionata, che racconta le vicissitudini di una famiglia costituita da tre donne tutte portatrici dello stesso nome, Gladys, aspetto emblematico che in qualche modo rimanda alla comunque e sempre forte identità del popolo cileno oppresso, mantenuta e probabilmente rafforzata proprio dalle vessazioni subite e dalle sofferenze inflittegli. Una famiglia all’interno della quale, insieme ad altri membri della piccola comunità locale, si partecipa attivamente alla lotta per la democrazia e alla resistenza contro l’oppressione militare di Pinochet, attraverso la “pericolosissima” affissione di manifesti e la protezione di altri contestatori. Accolgono infatti in casa un meraviglioso bambino di circa sei anni, Vladi, figlio di un attivista ribelle che vive altrove sotto falso nome, probabilmente la figura più bella e toccante di tutto il film.

Il racconto politico si muove parallelamente e si interseca con quello più intimo e personale con l’arrivo di Samuel, un giovane missionario americano che, giunto in un paese del terzo mondo con l’obiettivo primario di diffondere la parola di Dio, finisce, stabilendo un contatto e gradualmente una relazione sempre più affettiva con i componenti della famiglia che lo ospita, per coinvolgersi in misura sempre maggiore fino a contribuire attivamente alla causa da essi perorata. Nel frattempo si innamora di Gladys, la padrona di casa, donna più matura di lui, seducente e spregiudicata che lo provoca sin dall’inizio, favorendo e stimolando la liberazione della sua spontaneità e la scoperta della sua virilità, fino a quel momento probabilmente troppo inquadrate, imbrigliate nella formalità del suo ruolo e nell’inesperienza della sua ancora giovane età.

Il pregio del film di Gonzalo Justiniano sta proprio nell’alternare in modo fluido il tema politico, i dialoghi innocenti che intercorrono tra il giovane Samuel e Vladi, lo scorrere della quotidianità all’interno della casa, scandito da piccoli gesti e da sguardi spontanei o da azioni semplici come la preparazione del cibo, il crescere progressivo dell’attrazione fisica e della tensione erotica tra due protagonisti, il cui esito risulta essere la presenza contemporanea di vissuti emotivi di colore e qualità completamente diverse l’uno dall’altro (la necessità di ribellione, la rabbia, la paura, la curiosità e l’innocenza infantili, la tensione sessuale) ma tutti aventi come unica matrice un’intensa essenza passionale, che vengono tutti trasmessi allo spettatore con la stessa autenticità. Una passione che rende il film e i suoi personaggi una vera e propria fonte di energia vitale che infonde, nonostante il quadro drammatico rappresentato, fiducia e speranza.

Justiniano ci introduce in un contesto penoso e angosciante riuscendo a costellarlo di delicatezza e di intensità, a riprova che anche nelle condizioni peggiori probabilmente questo popolo vessato, queste persone oppresse, non hanno mai abbandonato la voglia di lottare per la propria dignità e sino a quando la vita non gli è stata strappata, non sono mai rimaste senza speranza.
Il cast è assolutamente lodevole, entrambi i protagonisti, Nathalia Aragonese e Daniel Contesse, regalano un’ottima interpretazione. Spicca il piccolo Elias Collado, nel ruolo di Vladi il bimbo per di carota dai grandi occhiali che conquista lo spettatore fin dalle prime scene del film. Accolto con grande entusiasmo, il film ha ricevuto applausi in sala per diversi minuti e la delegazione è parsa particolarmente coinvolta, forse stupita, certamente grata.

Cabros de mierda è un’espressione che non a caso è posta a titolare questa pellicola, in quanto individua proprio quel connubio tra tenerezza e dolore che permea l’intera opera. Viene usata per definire i discoli, i bimbi che fanno i monelli e disubbidiscono ma contemporaneamente e un po’ con la stessa accezione, la usano tristemente anche le donne, le vicine di casa, le maestre, quando riconoscono nei militari cinici e vessatori, dei bambini che hanno visto crescere.

Decisamente consigliata, per chi ha ancora la possibilità di vederlo in replica, la visione di un piccolo film di grande valore che brilla di sincerità tra le nuove proposte di questo festival.

  • Anno: 2017
  • Durata: 118
  • Genere: Drammatico
  • Nazionalita: Cile
  • Regia: Gonzalo Justiniano

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