Ambientato nel 1892, il selvaggio west raccontato da Scot Cooper sta lentamente svanendo. Le popolazioni indigene americane sono state sconfitte, le praterie lasciano il posto a città e nuovi insediamenti e la rivoluzione industriale sta raggiungendo il suo apice. Un’epopea che ha usurato un navigato Capitano di fanteria, Joseph Blocker, interpretato da Christian Bale, un ex eroe di guerra ora carceriere. Joseph ha combattuto contro i nativi indiani, li ha perseguitati, ne ha uccisi a migliaia, ha fatto carriera per questo. Ma ora i tempi sono cambiati e l’America non ha più bisogno di combattere queste tribù, per questo incaricano Joseph, giudicato un esperto in materia, di accompagnare Falco Giallo, capo dei Cheyenne malato di cancro, nella sua terra in Montana, un gesto, più pubblicitario che compassionevole, per rinconciliare la nazione degli Stati Uniti con la popolazione nativa americana.
Per Joseph, Falco Giallo potrebbe anche finire i suoi giorni in prigione, ma rischia la Corte Marziale se decide di rifiutarsi di eseguire gli ordini, per questo, contro ogni sua fibra morale, inizia un viaggio di 1.000 miglia a stretto contatto con delle persone che nella sua vita ha sempre odiato e selvaggiamente ucciso.
Un viaggio, raccontato da Cooper in Hostiles, nella frontiera americana, lungo quanto un’Odissea, con personaggi e temi fondamentali per il genere del western: la violenza, il confine tra nemico e alleato, il rapporto con i nativi indiani e il racconto della frontiera. Ma Scot Cooper aggiunge una scena, definibile come citazione, ma che sintentizza anche l’obiettivo del regista con questo film.
Hanno da poco cominciato il loro cammino e Joseph, accompagnato da alcuni compagni, raggiunge una casa andata in fiamme isolata in una patreria. Davanti l’entrata dell’abitazione, la macchina da presa inquadra i tre soldati dall’interno. Il buio della casa copre la maggior parte dell’inquadratura e solo una piccola porzione di luce rimane a illuminare i soggetti. Una citazione che richiama immediatamente la scena finale di Sentieri Selvaggi di John Ford, con John Wayne che indugia nella sua piccola porzione di luce, prima di girare i tacchi e andarsene. In Hostiles, al contrario, i protagonisti varcano il buio e entrano dentro la casa, dove trovano dei corpi trucidati e una donna, ancora in vita, che tiene stretta a sé il cadavere di un neanato. La donna, Rosamund Pike, la sola superstite della famiglia, si unisce a Joseph e al suo viaggio.
Idealmente Scot Cooper prosegue il racconto e le istanze portate avanti da John Ford con il suo film. Ambientato nel 1868, il celebre regista americano raccontava la fine della guerra di secessione, in cui sono rintracciabili gli stessi temi che Cooper affronta nel suo lungometraggio, dove anche la stessa tribù di indiani contro cui John Wayne si scaglia nel film, i Comanche, sono in Hostiles, i nemici da cui proteggersi.
Una narrazione sia nei modi che nei tempi molto fedele al western classico a cui il regista aggiunge un’atmosfera ruvida, in continua mutazione, sospesa tra modernità e vecchio West. Il rapporto tra nativi americani e l’imperialismo americano rimane centrale nel film, un tema spinto fino all’eccesso mettendo in scena un soldato, Joseph Blocker, a stretto contatto con un capò tribù e la sua famiglia, spingendo il protagonista a rivalutare le sue stesse certezze e a spogliarlo, letteralmente, dei suoi vestiti e della sua mentalità da soldato.
Christian Bale è un attore che annulla se stesso per interpretare un personaggio, ricostruendosi ogni volta con qualcosa di diverso; molte volte anche fisicamente. In Hostiles, l’attore americano porta al cinema una delle sue interpretazioni migliori; al passo con la narrazione del film, sul viso di Bale nascono lentamente tutte quelle incrinature e turbamenti che tormentano l’animo del personaggio.