Nel 1973 uno storico evento sportivo porta alla ribalta delle cronache la ‘questione femminista’: si tratta dell’incontro di tennis fra la ventinovenne Billie Jean King , numero uno del tennis femminile americano e campionessa mondiale femminile degli anni Settanta, e l’ex-campione maschile, scommettitore impenitente, Bobby Riggs. Anno importante, il 1973, per le donne negli Stati Uniti, che ottengono molte conquiste: esce il primo numero del magazine femminista Ms, viene approvato il Titolo IX della Costituzione che ratifica la parità dei diritti fra uomo e donna, e la Corte Suprema emette una storica sentenza sul diritto all’aborto. Tuttavia le donne erano ancora discriminate di fatto, al punto che non potevano essere titolari neanche di una carta di credito.
In questo contesto storico e politico si colloca il film La battaglia dei sessi dei coniugi Valerie Faris e Jonathan Dayton (registi noti per Little Miss Sunshine), che riflette sul problema da un’angolatura particolare: partendo dagli stipendi e dai premi delle tenniste – che erano di otto volte inferiori a quelli degli uomini, pur facendo vendere agli organizzatori lo stesso numero di biglietti – e prendendo come spunto una storica partita di tennis fra un campione maschilista (o sedicente tale, ma interessato a sfruttare il richiamo mediatico) ed una tennista femminista in piena crisi d’identità sessuale, allarga la visuale a tutti i campi della vita e delle conquiste femminili, come quelli relativi alla libertà sentimentale e sessuale. King (interpretata da Emma Stone), infatti, proprio in quel periodo, inizia una relazione extraconiugale omosessuale che la porterà al coming out negli anni successivi.
La sfida fra i due, che la King rifiuta per molto tempo, ben consapevole dei risvolti mediatici, delle scommesse in campo e del rischio di immagine – Riggs (Steve Carell) si divertiva a sfidare le campionesse donne per batterle e dimostrare la superiorità del genere maschile – va ben oltre la spettacolarità e spettacolarizzazione del match, diventando il simbolo della dialettica paritaria di quegli anni ed una chiara presa di posizione verso un mondo, quello sportivo, considerato ancora appannaggio maschile. La vittoria di King, che si allenò moltissimo in vista di una sfida che andava ben oltre la sua carriera, ed il cui esito non era affatto scontato, segnò un traguardo importante perché la partita, etichettata come La battaglia dei sessi, diventò uno dei confronti sportivi televisivi più visti di tutti i tempi, raggiungendo 90 milioni di spettatori in tutto il mondo. Un evento che assunse una valenza globale ed ebbe la funzione di rendere lo sport partecipe dei grandi cambiamenti sociali in atto e di accorciare la distanza fra sport, politica e società.
“È stato il progetto più complicato della nostra carriera – hanno raccontato i registi – perché è un film che racconta una vicenda sportiva, una storia d’amore, un dramma a sfondo sociopolitico, e che a volte assume persino i toni di una commedia. 44 anni dopo questo match, ancora si parla degli stessi argomenti. Siamo rimasti colpiti da come un semplice spettacolo, in quel periodo, sia diventato la metafora di importanti questioni sociali”.
La splendida ambientazione vintage anni Settanta, i primi abiti da tennis colorati e la ricostruzione di un’intera epoca dello sport e della politica americana, affidano al film numerosi messaggi, legati a femminismo, coraggio ed uguaglianza, simboleggiati in sintesi dalla ‘battaglia’ fra un’icona femminista e paladina del movimento LGBT e un relitto del vetero maschilismo: una gigantesca lotta mediatica tra i sessi, vinta da una donna. Il ruolo di Billie Jean King è affidato ad una bravissima Emma Stone, l’attrice premio Oscar, in un ruolo inedito e finalmente non da ‘bambolina”.