Tratto dal manga di Yoshitoki Oima, La forma della voce di Naoko Yamada è un film d’animazione che tratta di sentimenti complessi e contraddittori, incarnati da personaggi dotati di una personalità approfondita e sfaccettata che evolve nel corso della narrazione. Quando Nishimiya Shoko, studentessa con problemi d’udito, si trasferisce in una nuova scuola, viene fatta oggetto di scherno ed emarginata dai compagni di classe, specie da Ishida Shouya, che le dimostra una spiccata antipatia e disprezzo. Tale è la sofferenza e il disagio cui la spingono le continue offese e canzonature, che Shoko si vede costretta a cambiare scuola.
Una notevole importanza è rivestita non solo dall’attenzione a definire e sviluppare personaggi a tutto tondo, che si modificano nello sviluppo della trama, tanto da mutare radicalmente il proprio atteggiamento gli uni verso gli altri, ma anche dalla cura e dalla delicatezza con cui viene affrontato il tema della malattia e della diversità della protagonista: dapprima oggetto di canzonatura ed in seguito elemento per una più profonda comprensione tra i protagonisti, fra i quali nasce un rapporto delicato ed unico, motivo di cambiamento e maturazione specialmente per il personaggio maschile.
A balzare all’occhio dello spettatore, almeno occidentale, sono l’accuratezza e la profondità degli sfondi dove si muovono i personaggi, mercé della ricchezza cromatica che accende quasi ogni inquadratura di tonalità tanto luminose e squillanti da conferire una specificità unica ad ogni ambiente (si veda in tal senso l’inquadratura che campeggia sulla locandina, non a caso fra le più visivamente ricercate e affascinanti del film), reso più autentico, si diceva, dalla ricerca di un punto di fuga dove convergano le linee parallele che compongono i vari elementi del quadro. Se un tale lavoro di ricerca vien fatto sugli sfondi, non sempre, o non al medesimo livello, il risultato di un simile sforzo è ravvisabile nei disegni dei personaggi, in particolare nella mobilità degli stessi, che talvolta paiono ancora troppo rigidi ed inespressivi. L’accuratezza degli sfondi, comunque, cerca di far dimenticare la padronanza non ancora raggiunta dal cinema d’animazione nipponico nella creazione di personaggi capaci di muoversi con scioltezza nello spazio e capaci di guadagnare in tridimensionalità, o almeno in una sua parvenza: i movimenti degli stessi, infatti, risultano ancora il punto più debole di un film altrimenti riuscito e accattivante.
Un punto di merito va senz’altro alla regia e al montaggio, che sveltisce il ritmo e, concentrandosi sui primi e primissimi piani, mira a creare una forma d’empatia fra lo spettatore e il personaggio disegnato. Attraverso la mistura di elementi drammatici e leggeri, il regista avvicina lo spettatore all’insolito dialogo, fondato sulla lingua dei segni, dei due protagonisti: un linguaggio nuovo per Shouya, che se vuol finalmente comunicare con Shoko deve aver l’umiltà d’impararlo da lei e di conoscerla così come mai aveva voluto far prima; rinunciando finalmente alla villania e ai toni offensivi coi quali l’aveva fin ad allora trattata.
La scioltezza della narrazione, poi, non fa nemmeno per un momento considerare quanta materia letteraria (si parla di ben sette volumi di fumetti) sia stata adattata in un film che dura poco più di due ore. L’attenzione alla psicologia dei protagonisti, al modo di occupare lo spazio e alla definizione dello spazio stesso, coi suoi volumi, la sua luce e i suoi colori, testimonia dell’evoluzione compiuta dall’animazione nipponica in questi anni, tanto da rendere i suoi film interessanti e meritevoli d’attenzione anche per il pubblico non solo occidentale ma spesso anche adulto. Anche se, come sempre, l’attenzione degli autori e del regista si concentra su personaggi adolescenti e sui sentimenti inespressi o appena accennati (o, come qui, camuffati da ostilità e disprezzo), che li uniscono e li separano, in un modificarsi, fin nel trasformarsi nel loro opposto, che costituisce la vera essenza di quest’opera.
Senza dubbio il film rientra nel novero dei migliori e più consapevoli lungometraggi d’animazione nipponici giunti nel nostro paese in questi anni: per la complessa ricerca formale e la capacità di trattare temi, come la malattia e l’incertezza emotiva e sentimentale tipica dell’adolescenza con matura consapevolezza cinematografica. Fra gli altri film d’animazione di recente arrivati sugli schermi nostrani, segnaliamo il quantomai riuscito Oltre le nuvole- Il luogo promessoci, un racconto di fantascienza che unisce un filone avventuroso e fantastico ad una particolare attenzione al legame sentimentale che unisce i personaggi e determina gli sviluppi della trama.