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I mostri: quando Risi, Tognazzi e Gassman misero a nudo vizi e contraddizioni d’Italia

Segnali dall’universo digitale. Rubrica a cura di Francesco Lomuscio

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Un mosaico cinico, fedele e divertito di quella Italia che, alla metà degli anni Sessanta, uscì dal miracolo economico e si trovò ad affrontare un futuro diverso, industrializzato e complesso.

Questo, in sintesi, fu nel 1963 I mostri, autentico capolavoro della Commedia italiana che, firmato da un Dino Risi già autore di classici del calibro di Una vita difficile e Il sorpasso, si strutturò in venti episodi disgiunti tra loro con protagonisti due memorabili Ugo Tognazzi e Vittorio Gassman.

Infatti, se il primo, tra l’altro, non mancò di strappare risate nel ruolo di un padre impegnato ad insegnare i cattivi comportamenti al figlioletto incarnato da un piccolo Ricky Tognazzi, di un onorevole e di un addolorato e, forse, neanche troppo ingenuo soldato intento a vendere il diario della sorella defunta ad un giornale, il secondo non si lasciò l’occasione di sfoderare tutte le sue invidiabili qualità di trasformista che, sempre sotto la regia dell’autore di Poveri ma belli, aveva già avuto modo di mettere in pratica ne Il mattatore, di tre anni prima.

Quindi, se in un primo momento lo vediamo immerso in un monologo telefonico con interazione di altri personaggi in scena per poter sfoderare una chiara denuncia rivolta alle discutibilissime dinamiche del mondo dello spettacolo, non si tira indietro neppure quando deve calarsi nei panni femminili di una altrettanto discutibilissima sceneggiatrice.

Senza contare le punte di autentico cinismo che arriva a toccare nel segmento riguardante un elemosinante non vedente e in quello in cui fa da padre di famiglia squattrinato e con figlio malato a letto, in assoluto rientranti tra quelli che maggiormente riescono nell’impresa di racchiudere l’intero senso dell’operazione.

Perché, come effettuato precedentemente anche da Mario Monicelli attraverso I soliti ignoti e da Pietro Germi tramite Divorzio all’italiana, è ridere del dramma che si propone la sceneggiatura scritta dallo stesso Risi insieme a Furio Scarpelli, Elio Petri, Agenore Incrocci, Ettore Scola e Ruggero Maccari, che non manca neppure di tirare in ballo un Lando Buzzanca sospettoso del tradimento da parte della moglie.

Del resto, amanti, soggetti fedifraghi e corna sono, da sempre, ingredienti immancabili dell’intrattenimento leggero da schermo tricolore; in questo caso destinato ad approdare alla tanto comica quanto triste impresa di due malandati pugili che, resi dal grande Vittorio e dall’altrettanto grande Ugo in due performance che avrebbero meritato il premio Oscar, racchiudono tutto quel magico mix di amarezze, sorrisi e speranze tipici del Neorealismo e di buona parte della successiva produzione cinematografica del paese degli spaghetti.

Mix che, tra frecciatine a sacerdoti, alle bizzarrie del maestro della Settima arte Federico Fellini e al disgustoso modo di agire di determinati vigili, si pone, comunque, alla base delle quasi due ore totali di visione, non prive neppure di esilarante e coraggiosa (per l’epoca) presa in giro del mondo omosessuale nel momento in cui ci si trova su una spiaggia accompagnati dalle note di Abbronzatissima di Edoardo Vianello.

Con sguardo critico ma mai criticabile, morale ma mai moralista e cinico ma mai gratuitamente cattivo, per un classico intramontabile che CG (www.cgentertainment.it) rende disponibile su supporto dvd comprendente nella sezione extra biografie del regista e degli attori principali e la featurette L’Italia in commedia, ovvero ventotto minuti di testimonianze di Risi, Scarpelli, Monicelli (quest’ultimo solo audio) e Silvia Scola.

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