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Suburra – la serie (recensione): pregi e difetti della prima serie targata Netflix italia

Dal 6 ottobre è disponibile su Netflix la prima stagione di Suburra, la serie tratta dal romanzo di Giancarlo De Cataldo e Carlo Bonini. Il racconto ripercorre le vicende passate di alcuni protagonisti comparsi nella prima trasposizione del testo, ad opera di Stefano Sollima, che nel 2015 ha portato sul grande schermo gli intrecci tra politica e criminalità romana. Netflix si è da subito interessato, distribuendo in tutto il mondo il film (ad eccezione di alcuni Paesi), e ottenendo i diritti per la creazione di un racconto seriale. Non proprio un grosso rischio, visto che un altro prodotto di Cattleya, Gomorra, sta avendo un successo pazzesco al di fuori del suolo nazionale

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La prima stagione di Suburra – la serie è disponibile in streaming su Netflix

Dopo Narcos, dove si fotografa l’enorme potere dei grossi narcotrafficanti colombiani (dal clan di Medellín a quello di Cali) e messicani, l’azienda americana ha voluto mostrare al mondo che non è solo il prodotto a determinare la forza di un leader, ma le relazioni, i contatti, o meglio, i ricatti. Samurai, interpretato prima da Claudio Amendola e in seguito da Francesco Acquaroli, è la figura capace di mettere in contatto contesti apparentemente discordanti. Politica, Religione e Crimine sono, almeno sulla carta, istituzioni sociali che operano su livelli distinti, ma un uomo riesce ad avere in pugno questi tre assi, e usarli tutti in un colpo solo. Il suo scopo è quello di controllare, con l’aiuto della Mafia, tutto il litorale di Ostia, offrendo così lo sbarco ufficiale e diretto di Cosa Nostra nei traffici illeciti della Capitale.

La serie tv non è stata accolta con elogi unanimi dalla critica e dal pubblico, con motivazioni in parte condivisibili. Uno dei primi appunti rivolti a Suburra è il suo diretto accostamento prodotto con il suo predecessore Gomorra, andato in onda su Sky. La gente si aspettava una sorta di copia identica in ogni dettaglio al racconto tratto dal libro di Saviano, con il solo elemento narrativo a divergere. In parte non si può dare torto a queste affermazioni. Sin dall’intro (che si differenzia solamente con i sanpietrini che si sporgono), è chiaro che ci sia un’affinità tra loro, così come è innegabile una somiglianza nella parte tecnica e di messa in scena.

Detto ciò, Suburra è davvero una (a detta di molti brutta) imitazione di Gomorra? No, per una ragione semplice e che in tanti sottovalutano. Nella storia che mostra la storia del clan Savastano, quello che in primis emerge nella serie è la dinamica familiare, oltre a uno scontro generazionale e culturale. Tutto il resto rimane sfuocato e superfluo nei confronti della narrazione, perché a essere al centro del racconto sono solo loro, i camorristi, tutti descritti nella loro veste negativa di carnefici. Anche nella storia diretta da Placido, Molaioli e Capotondi questi aspetti vengono affrontati, ma non in maniera esclusiva. L’obiettivo è soprattutto di scoprire un legame sempre più morboso e consolidato tra i palazzi delle istituzioni (in questo caso locali), della Chiesa e della malavita, legati sempre più da un rapporto di favori e di conti da saldare. Un passo in più, perché coinvolge l’intera società capitolina e non solo i bassifondi criminali.

Un altro elemento di distacco è la presenza (anche se circoscritta) dello Stato. In Gomorra lo strappo che garantisce una forza identitaria unica è la completa assenza delle forze dell’odine, che compaiono in alcune sequenze ma come rappresentazione passiva rispetto alla potenza camorristica in scena a Napoli. Suburra, in uno dei tanti conflitti familiari presenti nel racconto, tocca anche l’aspetto etico di cosa è bene e cosa è male, ed è il rapporto tra Gabriele, detto Lele, un ragazzo che entra in una spirale criminale incontrollabile, e il padre poliziotto, che vorrebbe per lui un futuro tranquillo ma che rientri nella legalità. Gli altri contrasti nei diversi clan sono pressoché invariati, con i figli che in qualche modo disobbediscono e vogliono trovare la loro strada, eccedendo nei comportamenti e nelle scelte drastiche, come capita ai tre dell’Ave Maria: Spadino, lo zingaro ballerino che è in piena crisi con il boss degli Anacleti; Aureliano Adami, detto Numero 8, un cane randagio che vuole comandare da solo tutta Ostia battendosi contro le decisioni del padre Tullio che non ha ancora la fiducia in lui; e lo stesso Lele, che desidera sbancare il lunario ma per vie traverse e rischiose.

Un elemento assolutamente positivo che compare in entrambe le serie è il ruolo preponderante della donna, forte, coraggiosa, calma, che ha tutto sotto controllo e che è capace di gestire gli affari. Spicca in particolare il ruolo di Livia Adami, interpretato da Barbara Chichiarelli, la vera sorpresa di questa storia per come viene sviluppata la sua crescita interna femminile oltre che criminale. Discrete invece le prove delle restanti protagoniste, da Angelica (Carlotta Antonelli), la ragazza di Spadino, a Isabelle (Lorena Cesarini), la fidanzata di Numero 8, entrambe nel difficile ruolo di moderare sulle scelte fatte dai loro partner. Claudia Gerini, qui nel ruolo chiave di Sara Monaschi, la consulente dei conti vaticani che vuole dimostrare al marito di saper manovrare i giochi in commissione, pecca di carisma e non riesce a essere alla pari dei loro colleghi, dall’ormai consolidato Alessandro Borghi al giovane e frizzante Giuseppe Ferrara. Un personaggio superfluo e fuori contesto è sicuramente quello della Contessa, che rimanda, dai modi e dagli atteggiamenti che si percepiscono per tutta la stagione, a quelle parti strabordanti e illogiche delle vecchie fiction che si vedono nella tv generalista, spesso parodiate da alcuni comici nostrani. Anche i dialoghi non sono da meno, estremamente finti, non credibili (tranne in alcune occasioni, quando in scena ci sono i grossi nomi, da Samurai a Spadino fino ai fratelli Adami), e soprattutto incapaci di imprimersi nella mente dello spettatore.

Suburra non è tuttavia una serie da buttare. Al contrario, rappresenta una valida alternativa ai prodotti seriali nazionali, ma per raggiungere il livello dei suoi diretti concorrenti o dei racconti a lei affini, deve buttare il cuore oltre l’ostacolo, distaccandosi da loro e optando su registi nuovi e freschi e su una sceneggiatura più realistica.

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