“Sebastian Silva mette in scena un interessante psicodramma domestico che vede coinvolti i membri di una benestante famiglia cilena e Raquel, da ventitré anni impiegata in qualità di governante”.
Premiato al Sundance Festival 2009, al Satellite Awards e al National Review of Motion picture Awards, La nana approda nelle sale italiane, dopo che il Torino Film Festival aveva decretato, sempre nel 2009, Catalina Saavedra, la protagonista del film, miglior attrice.
Sebastian Silva, classe 1979, mette in scena un interessante psicodramma domestico che vede coinvolti i membri di una benestante famiglia cilena e Raquel, da ventitré anni impiegata in qualità di governante. La sceneggiatura, tutt’altro che scontata, rivela una certa forza narrativa, poiché mostra l’intreccio inesplicabile del piano emotivo e di quello politico, mantenendosi costantemente in equilibrio.
Raquel, dopo tanti anni di onorato servizio, si sente parte della famiglia, e non accetta le nuove domestiche che la signora Valdès le affianca per agevolarla nel lavoro; per tale motivo architetta atroci dispetti che inducono le nuove arrivate a svignarsela. Tutte tranne una, Lucy che, giovane e dinamica, non entra in conflitto con la diabolica governante ma, attraverso un certo distacco emotivo, le fa comprendere il fondamentale equivoco in cui si è imbattuta, scambiando i propri datori di lavoro per famigliari.
Guardando La nana, torna prepotentemente alla mente l’ottimo La cérémonie (1995) di Claude Chabrol (uscito in Italia con l’incomprensibile titolo Il buio nella mente), dove Isabelle Huppert e Sandrine Bonnaire interpretavano due reiette che s’introducevano all’interno del patinato mondo borghese, facendone emergere gli orrori e le contraddizioni, i vizi e l’ipocrisia, dando vita ad un epilogo particolarmente violento, in cui i facoltosi nemici di classe venivano trucidati sulle note del Don Giovanni di Mozart. Ebbene, lo scrivente non nasconde di aver covato, durante la visione del film, la speranza di un esito altrettanto efferato. Ma probabilmente Silva, che ha girato il lungometraggio nella casa dei genitori, immedesimandosi con il padronato, non ha saputo, o voluto, torcere il racconto su un piano squisitamente politico e, invece di organizzare un bel processo proletario, si è limitato a registrare le variazioni emotive di Raquel che, nella sequenza finale, sembra aver guadagnato un equilibrio che non aveva prima. In realtà, la sensazione che si prova è che il mutamento messo in scena sia solo apparente. Insomma il ritornello pare “deve mutare tutto, affinché nulla cambi”.
Comunque, a parte queste considerazioni, La nana è un buon film, che consigliamo di vedere, se non altro per arrabbiarsi un po’.
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