I vitelloni, film del 1953 diretto da Federico Fellini, è incentrato sulle vicende di un gruppo di cinque giovani: l’intellettuale Leopoldo, il donnaiolo Fausto, il maturo Moraldo, l’infantile Alberto e l’inguaribile giocatore Riccardo. La sceneggiatura, scritta da Fellini, Ennio Flaiano e Tullio Pinelli, è stata candidata agli Oscar del 1958. Il film fu presentato nella selezione ufficiale della 14ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia. Il film è stato selezionato tra i 100 film italiani da salvare. Con Franco Interlenghi, Alberto Sordi, Franco Fabrizi, Leopoldo Trieste e Riccardo Fellini.
Il termine vitelloni è un’espressione che veniva utilizzata a Pescara, città natale di Ennio Flaiano – autore del soggetto del film – nell’immediato dopoguerra. Flaiano, infatti, ha immaginato lo svolgimento della trama a Pescara sviluppandola intorno ad alcuni personaggi di finzione, ma rappresentativi di un modo d’essere dei giovani della città degli anni cinquanta. Il termine vitellò (vitellone) infatti, era usato a Pescara per indicare quei giovani nullafacenti che trascorrevano le loro giornate al bar o, comunque, senza lavorare. A quel tempo, tra i giovani era facile salutarsi dicendo “Uhe vitellò gna’ sti’?” (“ehi vitellone, come stai?”), sia perché la disoccupazione giovanile era dilagante, sia perché il termine era entrato nel gergo comune. Nel dialetto pescarese tuttavia, il termine nel corso degli anni è scomparso.
La trama del film, scritta inizialmente da Ennio Flaiano, era stata concepita per essere situata a Pescara. Fellini decise invece di ambientare il film a Rimini, sua città natale, anch’essa una città costiera sul Mare Adriatico. Tuttavia le riprese si svolsero tra Firenze, Viterbo, Ostia e Roma. Il personaggio di Riccardo è interpretato da Riccardo Fellini, fratello del regista. La voce di Fausto, interpretato da Franco Fabrizi, è doppiata da Nino Manfredi. Nell’ultima scena del film la battuta di Moraldo che saluta Guido dal treno è doppiata da Federico Fellini stesso per rimarcare l’elemento autobiografico della sua partenza dalla città natale.
Sinossi
Fausto, Riccardo, Alberto, Leopoldo e Moraldo, figli della piccola borghesia, sprecano la loro gioventù nell’ozio più completo e nel vagheggiare sogni irrealizzabili. Fausto tradisce la giovane moglie, Leopoldo ha velleità letterarie e Alberto non sa far altro che piangere alla notizia che sua sorella è scappata di casa. Alla fine solo Moraldo riuscirà ad andarsene.
Dopo il fiasco de Lo Sceicco Bianco e l’ostilità generale nei confronti di Alberto Sordi, Fellini dimostrò grande coraggio (o incoscienza) chiamando ancora una volta l’attore romano che, tra l’altro, condizionò le riprese del film che furono effettuate nei ritagli di tempo concessi dalla sua partecipazione ad una tournée con Wanda Osiris. Il film in verità ha ben poco di autobiografico: Federico non è mai stato un “vitellone”, si trasferisce a soli 19 anni a Roma armi e bagagli con tutta la famiglia e là trova l’appoggio dei parenti della madre, romana dell’Esquilino. Che ci si trovi a Rimini il regista non lo fa capire, non c’è una scena che sia girata nella cittadina romagnola ed i protagonisti sono uno di Reggio Calabria, due di Roma, uno di Piacenza ed il solo fratello del regista, Riccardo, il personaggio meno importante del gruppo, è il legame con la terra natale. A prescindere da queste considerazioni che lasciano il tempo che trovano, Fellini dipinge un ritratto vivissimo della provincia italiana, esaltando pregi ormai scomparsi e difetti che nell’Italia d’oggi sarebbero virtù. La pellicola inanella una serie impressionante di sequenze da antologia, tra le quali spiccano quella sulla spiaggia d’inverno, quella dopo la fine della festa di carnevale, quella celeberrima del “lavoratori della Mazda…..” e quella finale degli amici che dormono nei loro letti. Sceneggiatura notevolissima, fotografia pregevole, il film emana un fascino che il tempo non può che esaltare. Un discorso a parte merita la colonna sonora di Nino Rota, una delle migliori di sempre, il tema principale ha una forza evocativa senza pari ed esprime un senso di mistero ed una malinconia che sono la cifra stilistica di questo compositore mai abbastanza lodato.
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