Outsider, un film del 1981 del regista e sceneggiatore ungherese Béla Tarr.
Sinossi
András è un giovane ungherese dalla vita sfortunata e difficile. Cresciuto in un orfanotrofio, viene in seguito espulso dal conservatorio, dove era entrato per imparare a suonare il violino. Assunto come infermiere presso un ospedale psichiatrico, viene licenziato a causa dei suoi problemi con l’alcol. Intanto gli nasce un figlio, avuto da una donna che non ama e alla quale deve versare, ogni mese, un notevole importo in alimenti. Dopo aver cambiato lavoro e aver sposato una sua collega, András è convinto di aver finalmente trovato la felicità. Purtroppo, di lì a poco, il suo migliore amico morirà, ed anche il matrimonio andrà rapidamente incontro al fallimento.
Un Béla Tarr degli inizi che si apre al colore, seppur livido e quasi impercettibile, e che, con taglio rigoroso e documentaristico che rifugge ogni ricostruzione d’atmosfera – segno costante e grandioso, personale ed ormai imprescindibile della sua ultima magnifica produzione – ci introduce nella vita complicata e a dir poco travagliata di un giovane di talento, András, perseguitato da una serie di eventi e circostanze che non gli permettono di specializzarsi e maturare un’esperienza nei confronti delle svariate attività in cui, in qualche modo, dimostra di sapersi distinguere, se non eccellere.
Già in questa opera, il cinema di Béla Tarr rivela la sua visione nomadica della condizione umana: una sorta di danza ungherese, in cui il movimento è una continua fuga dalla stabilità che crea legami ed opprime, ingabbiando l’esistenza in ritmi sempre uguali. La ripetitività del ballo di gruppo e dei riti della convivialità è un motivo ricorrente della sua filmografia; e l’inserimento, nelle scene di festa, di un elemento destabilizzante, è l’indicatore di una volontà di rompere gli schemi, introducendo nell’uniformità della tristezza collettiva un solitario acuto di disperazione.
L’individualismo di András è contiguo alla psicosi dei ricoverati in manicomio, alla solitaria stravaganza degli artisti, all’esaltazione dei giovani in cerca di emozioni forti. Solo con questi personaggi non allineati il protagonista riesce ad instaurare un vero dialogo, a parlare del (non)senso della vita, in frasi o in melodie.
Tutto il resto fa parte di uno spazio rigorosamente strutturato, in cui ci si dà appuntamento in precisi orari per scambiare due parole, in cui il tempo, come il denaro, è oggetto di scambio o di ricatto; perché, per gli altri, quello che conta non è essere, bensì esserci. nei modi e nei momenti in cui essi hanno bisogno di te.
Il drammatico destino di András e degli “sbandati” che gli fanno da contorno non ci fa capire se la maledizione, per la nostra specie, stia nell’emarginazione o nell’inquadramento: però forse la salvezza è, semplicemente, dalla parte di chi, nonostante tutto, riesce a restare coerente ed evitare la sconfitta.