La regista indiana Gurinder Chadha è nota nel panorama internazionale per la regia di Sognando Beckham, un’opera fortemente caratterizzata dalla necessità di scoprire le proprie origini, ritrovarle e farle proprie in un mondo, quello occidentale, completamente diverso da quello conosciuto. Attraverso le immagini della protagonista, infatti, l’autrice esaltava ideali di libertà, di indipendenza e di emancipazione per il sesso femminile, non più debole, non più sottomesso, non più sottovalutato. Quindici anni dopo, Chadha torna in cabina di regia per firmare Il palazzo del Viceré, un dramma storico e politico che nasce dalla volontà di raccontare l’acquisizione dell’indipendenza indiana.
Prima ancora di qualsiasi inquadratura, la frase “La storia è sempre raccontata dai vincitori” appare sullo schermo, forte e chiara, più cruda di qualsiasi coltellata allo stomaco. Subito dopo, l’imponente reggia del Vicerè Mountbatten, possente, lussuosa e barocca, cozza prepotentemente con la povertà delle strade di Delhi, dove intere famiglie chiedono l’elemosina per un pezzo di pane. La famiglia reale, proveniente dall’elegante Britannia, ha difficoltà a capire le differenze interne alla società indiana, divisa tra indù e pakistani, tra pacifisti e guerrafondai, tra idealisti e rivoltosi. Persino la figura di Gandhi, appare come una chimera sbiadita, incapace di portare dialogo, raziocinio, sogni di gloria. Deluso egli stesso dalla rabbia intestina della cultura che difende, non si erge più a profeta, né a liberatore, bensì si rimette apaticamente al ruolo voyeuristico che gli è stato destinato.
Sullo sfondo di queste vicende, tra complotti di palazzo, tattiche militari e segreti di stato, due giovani innamorati appartenenti a religioni diverse, cercano di coronare il loro sogno d’amore. Ed è proprio quando l’elemento amoroso prende il sopravvento su quello politico, la pellicola inizia a perdere colpi, a deviare l’attenzione dello spettatore e a rallentare il ritmo della narrazione. Occupandosi della sceneggiatura insieme a Paul Mayeda Berges (autore de La maga delle spezie) e a Moira Buffini (conosciuta per l’adattamento di Jane Eyre), Chadha ha voluto inserire nella storia riferimenti alla propria famiglia, dichiarandosi la nipote di una dei profughi indiani sopravvissuti al massacro. Provenendo, dunque, da uno dei più grandi esodi della storia, costato ben 14.000.000 di sfollati in tutto il continente, la nonna della regista le ha tramandato la propria versione dei fatti, quella che viene rafforzata dai filmati storici che chiudono la pellicola. Non bastano però le buone premesse né le performances di Hugh Bonneville e di Gillian Anderson (rispettivamente conosciuti come le star delle serie televisive di Downtown Abbey e X-Files) a rendere Il palazzo del Viceré un’opera completa, perché Chadha si è lasciata prendere la mano, finendo essa stessa intrappolata nel labirinto autoreferenziale appena costruito.