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Dopo l’ottimo esordio de L’intervallo, Leonardo Di Costanzo torna dietro la macchina da presa con L’intrusa

L’opera seconda di Leonardo Di Costanzo scava nell’animo dei personaggi e nelle diverse stratificazioni della trama, conservando intatto lo sguardo e l’approccio di un cinema profondamente reale e realistico

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Napoli ai giorni nostri. Giovanna è un donna che lavora nel sociale e che si deve confrontare quotidianamente con le problematiche della città. Il centro che dirige offre un luogo protetto in cui crescere e giocare dopo le ore di attività scolastica a bambini che potrebbero finire precocemente a far parte della manovalanza camorristica. Un giorno Maria, madre di due bambini, chiede e trova rifugio, con il consenso di Giovanna, in un monolocale che appartiene al centro. La quale però non sa che si tratta della giovane moglie di un boss della camorra ricercato per un efferato omicidio.

A portare sul grande schermo questa storia che ci parla a cuore aperto di un incontro, dell’abbattimento del muro della diffidenza costruito sul sottile e invisibile confine della tolleranza, di volontariato e di piccoli-grandi eroi del quotidiano, ci ha pensato Leonardo Di Costanzo, qui alla sua seconda fatica dietro la macchina da presa di fiction dal titolo L’intrusa, nelle sale nostrane a partire dal 28 settembre dopo l’anteprima mondiale in quel di Cannes lo scorso maggio nella sezione Quinzaine des Réalisateurs.

Una lettura attenta della sinossi e una radiografia altrettanto precisa dei personaggi e delle dinamiche drammaturgiche che la animano, non possono non fare emergere nel post visione l’esistenza di un filo rosso piuttosto evidente con l’opera prima del cineasta campano che risponde al titolo de L’intervallo. Era il 2012 quando Di Costanza ci regalava un folgorante esordio dopo un fortunato e importante percorso nel cinema del reale, del quale ha conservato intatto l’approccio alla materia dal punto di vista dello sguardo e dello stile, uno stile asciutto e privo di fronzoli, capace di immergere lo spettatore di turno in un’autenticità e in una verità senza soluzione di continuità.

E questo sguardo, il regista partenopeo lo ha portato anche ne L’intrusa per dare forma e sostanza narrativa a un film che scava nell’animo dei personaggi e nei meandri di una trama stratificata che non si accontenta, come spesso accade in molto cinema italiano, di restituire al fruitore solo la superficie delle cose. Quello di Di Costanzo è un cinema di riflessione, autoriale ma non ostico perché diretto e sincero, che spinge chi lo guarda a interrogarsi costantemente dal primo all’ultimo fotogramma utile. In sé la scrittura raccoglie temi universali fatti propri e restituiti sullo schermo senza giri di parole. Sta qui la forza de L’intrusa, la stessa che scorreva nelle vene della produzione documentaristica e nel battesimo di fiction, dove il regista napoletano ci catapultava in habitat e in microcosmi improvvisamente violati.

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