Ricordando curiosamente ciò che, tre anni più tardi, sarebbe stato raccontato nel non disprezzabile Scare campaign, nel 2013 HazMat di Lou Simon ha portato in scena il direttore di un programma televisivo dove si offre alla gente l’opportunità di sorprendere gli amici con scherzi spaventosi; il quale, d’accordo con altri conoscenti, decide di prepararne uno per cercare di far uscire dalla noiosa routine quotidiana Jacob alias Norbert Velez.
Scherzo che progetta installando telecamere nascoste all’interno di un edificio abbandonato e che, legato ad un inquietante passato, non manca di rivelarsi un involucro da incubo per l’intera combriccola, costretta presto a confrontarsi con un pericoloso omicida nascosto in una tuta anticontaminazioni usata dai soldati in caso di fughe di materiali tossici.
Omicida il cui look rispecchia non poco quello del minatore squarta-innamorati di San Valentino di sangue 3D di Patrick Lussier, rientrante come il lungometraggio in questione nel filone slasher, costituito da titoli a base di fantasiose uccisioni di persone in uno spazio più o meno chiuso e portato al successo soprattutto negli anni Ottanta.
Perché anche qui, tra ascia pronta ad affondare nei corpi e una testa tagliata, il respiro generale sembra richiamare non poco quello liberatorio dei massacri in fotogrammi sfornati nel decennio reaganiano; sebbene l’occasionale ricorso alle soggettive mosse delle camere si riallacci alla moda d’inizio terzo millennio del POV (Point Of View) e l’ambientazione si distacchi poco da quella dell’ESP – fenomeni paranormali diretto nel 2011 dai Vicious Brothers.
Fino al tutt’altro che consolatorio epilogo di un’operazione splatter che, dignitosa e decisamente superiore rispetto all’Agoraphobia realizzato dalla stessa regista, viene resa disponibile su supporto blu-ray tricolore da Koch Media, con il trailer nella sezione extra.
Come pure Zeta virus di Christopher Roosevelt, anch’esso datato 2013 e dietro al cui titolo italiano si nasconde l’originale The demented.
Uno zombie movie che guarda chiaramente all’ormai classico 28 giorni dopo di Danny Boyle e alla situazione di tensione mondiale del XXI secolo per tirare in ballo un attacco terroristico destinato a liberare un virus atto a trasformare i comuni montali in pericolosi esseri aggressivi e rovinare, di conseguenza, il lungo e spensierato week-end prospettato da sei studenti universitari all’interno di una villa isolata.
Studenti tra cui troviamo la Sarah Butler di I spit on your grave – Non violentate Jennifer – del quale l’autore Steven R. Monroe è qui coinvolto in vesti di produttore – e che, tra l’altro, si trovano alle prese con le loro questioni sentimentali, in mezzo a matrimoni imminenti e tradimenti pronti a venire allo scoperto.
Man mano che gli assalti da parte degli infetti sbrana-uomini – anticipati dall’incontro con un cane rabbioso – avvengono separatamente e con poche figure scorazzanti, come avviene in buona parte delle piccole produzioni indipendenti di genere horror.
E le continue fughe culminano in una doppia conclusione apparentemente appagante, ma dal sapore fortemente pessimista alla maniera di quelle che caratterizzano gli zombie movie del compianto George A. Romero, la cui influenza è facilmente deducibile anche dalla presenza di un protagonista di colore.