Bucarest oggi. Un’automobile fermata dalla stradale. Nell’abitacolo due amici, Dinel (Dorian Boguta) e Sile (Dragoș Bucur). Dal libretto di circolazione emerge una discrepanza. Il colore dell’auto reale e quello potenziale sono difformi. Differenza che gioca la sua partita sul campo del surreale tra un rimpallo di battute bizzarre. L’ala rientrata in scena, il terzo amico (Alexandru Papadopol), visionario affascinato dalle teorie del complotto, offre man forte al potenziale paradosso con il risultato che l’autorità e la sua realtà ne escono con le ossa in rotte.
Medesima situazione, traslitterata in termini economici, attraversa la Romania nel post sbornia della crescita elevata (triennio 2006-2008) quando la Grande Crisi colpisce duro anche qui. Dal 2009 il PIL reale perde punti nei confronti del suo corrispettivo potenziale causando un brusco rallentamento (prodotto dagli effetti delle crisi economica e finanziaria mondiale, fonte INS). Una crisi che attraversa tutto il percorso filmico di 2 biglietti della lotteria (Doua lozuri) dove è la misera autorità dell’essere umano che viene piegata a quella del mercato onnisciente e onnipresente. 2 biglietti della lotteria, di cui uno naturalmente si perdono le tracce e l’altro? Chissà?. Il disperso va cercato in lungo e largo in mezzo alle macerie di umanità che si arrabatta per arrivare a fine giornata, tra i ricordi di quelle che ci-si lasciano “corrompere” dall’esotismo italiano per sbarcare più dignitosamente il lunario, tra le stanze di case addobbate con mobilio “ante bellum” dal cui legno sembra trasudare DDT, insetticida che si usava quando si condividevano quegli spazi in troppe persone, tra le strade di paese (non troppo lontane da quelle di tante periferie del Sud Italia) nella speranza di prendere una connessione razzo 4G e raggiungere ‘i ladri’. 2 biglietti della lotteria possono essere la soluzione alla crisi che rimbalza da Dinel, il quale vive un momento complicato con gli affari della sua officina che non vanno a gonfie vele, al paesaggio desolato, non-umano, della Romania contemporanea e viceversa.
Liberamente ispirato all’omonimo racconto di Ion Luca Caragiale, che grava in precarie condizioni economiche agli inizi della sua carriera e che è tra i padri fondatori della Società letteraria Jumea, il movimento letterario più importante dell’epoca (metà Ottocento) del suo Paese. Le opere di Caragiale, compreso Doua lozuri, pur risentendo di un’impostazione classica, sono capaci di un’attenta osservazione dei fenomeni sociali a lui contemporanei e in grado di bersagliare la borghesia con un uso sapiente d’ironia. La trasposizione del giovane Paul Negoescu, classe 1984, al suo secondo lungometraggio dopo O luna in Thailandia, declina le caratteristiche precipue dei testi di Caragiale in tono fin troppo dimesso. Si tratta pur sempre di una libera ispirazione, ma è difficile non constatare che l’osservazione attenta del reale è mitigata da luoghi comuni sul cittadino romeno e sul suo emigrare, la critica alla classe dirigente è vana in mano ad un visionario, l’ironia è troppo labile per colpire l’obbiettivo, sempre che ve ne sia uno intenzionale. E quand’anche non esistesse altro scopo se non quello di realizzare un film low budget godibile, come dichiarato da Negoescu “non sono infatti partito da un’idea ma da una telefonata, quella di Dracos Bucur che mi ha chiesto se volessi realizzare con lui un film a basso budget. Solo allora ho iniziato a scrivere il film mettendo in pratica alcune delle mie idee. Volevo realizzare una commedia adatta a un ampio pubblico senza però avere la sensazione che stessi facendo un compromesso artistico. Ho risolto il mio enigma realizzando un film che io stesso avrei avuto piacere a guardare e che, ora che è finito, mi piace definire come divertente e godibile”, verrebbe facile il paragone, non fosse altro che per l’età dei registi, con A Est di Bucarest (A Fost sau n-a fost?) di Corneliu Porumboiu (ha poco più di trent’anni ai tempi di questo primo lungometraggio), Camera d’or al festival di Cannes (2006). Il «percorso esemplare» tra quelli del Noul Val (Noul Val. Il nuovo cinema romeno 1989-2009 secondo Saverio Francesco Maduri), “andamento” del cinema romeno che agli inizi del millennio fa incetta di premi. Occident di Cristian Mungiu presentato a Cannes è premio del pubblico al Thessaloniki International Film, Trafic di Cãtãlin Mitulescu è Palma d’Oro a Cannes per il miglior cortometraggio (2004), Cristi Puiu (Sieranevada, Aurora), Orso d’Oro a Berlino per il breve Un cartus de kent si un pachet de cafea (Coffe and Cigarettes) e l’anno dopo, nel 2005, premio Un certain regard a Cannes per La morte del signor Lazarescu (Moartea domnului Lazarescu), nonchè aiuto regia di Radu Mihăileanu per il suo Train de vie – Un treno per vivere, David di Donatello nel 1998. Negoescu è radicato al minimalismo tipico di questi racconti filmici che, se con il tempo è divenuto carattere stilistico del nuovo cinema, di certo trova le sue profonde radici in un’economia del film indotta dalle produzioni.
I tre protagonisti invece decidendo di non aspettare, in uno scontro tra verità e percezione, Godot dentro la compostezza di una sala televisiva A Est di Bucarest, come i tre di Porumboiu e rin-chiusi come molta produzione cinematografica di questo Paese, partono piuttosto per un viaggio di ricerca. Una fuori uscita al sole e in movimento di cui alcuni prodromi ante litteram li forniva, già ad inizio carriera, Puiu con il road movie Marfa si Banii. Fuga quella di 2 biglietti della lotteria che nel suo impaziente muoversi con toni mitigati sembra uno sfuggire continuo a quella scrittura sublime, a quei tempi e movimenti ben studiati, a quella composizione maniacale che nulla lascia al caso, dove il regista è l’allenatore e gli attori la sua squadra perfetta.