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Il Vanzina riscoperto di Tu sei l’unica donna per me e Arrivano i Gatti

Segnali dall’universo digitale. Rubrica a cura di Francesco Lomuscio

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A destare non poca curiosità, senza dubbio, sono alcuni dei nomi che si possono leggere nei credits, dal produttore associato Enrico Lucherini, da sempre notissimo press agent nostrano, all’assistente montatore Michele Soavi, in seguito divenuto maestro dell’horror su celluloide grazie a Deliria e La chiesa, passando per il segretario di produzione Massimo Ferrero, oggi produttore cinematografico ma, per gli amanti del calcio, presidente della squadra della Sampdoria.

Con un cast comprendente diversi volti del nostro cinema bis, tra cui il Tommaso”Tommy”Polgár de Il mio nome è nessuno, Tu sei l’unica donna per me è il secondo lungometraggio diretto dal Carlo Vanzina – dopo l’esordio pozzettiano Luna di miele in tre – poi trasformatosi in uno dei nomi di punta della commedia italiana sfornata nel periodo a cavallo tra il secondo e il terzo millennio.

Lungometraggio che, datato 1979 e sceneggiato dell’inseparabile fratello Enrico, il futuro artefice di Sapore di mare costruisce a appositamente sulla figura dell’allora popolare musicista Alan Sorrenti, famoso soprattutto per Figli delle stelle e per la hit che dà il titolo al film (conosciuto anche come Figlio delle stelle), calandolo nei panni del cantautore Daniel.

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Il Daniel che, tra una esilarante e surreale conversazione con una ragazzina incarnata dalla Fausta Avelli di Sette note in nero e una forte crisi depressiva, vediamo alle prese sia con l’improvviso successo che con l’abbandono da parte della bella di turno; man mano che la colonna sonora, come c’era da aspettarsi, sfodera pezzi sorrentiani quali Un incontro in ascensore Per sempre tu.

Al servizio di un tardo musicarello proto-fotoromanzo che, in mezzo ad abbondanza di ristretti campi di ripresa ed evidente pochezza di budget, fa quasi tenerezza pensare sia confezionato dallo stesso cineasta che sarebbe poi stato al servizio della risata blockbuster tricolore; mentre, paradossalmente, proprio grazie alla povertà generale riesce a conferire un certo senso di solitudine che finisce per evidenziare l’aspetto romantico-sentimentale rientrante tra i marchi di fabbrica del figlio di Steno.

Un figlio di Steno ancora sperimentale ed in cerca di un’identità artistica che, però, ha cominciato a ad intraprendere un personale orientamento comico a partire dall’anno successivo, quando raccontò in chiave ironica l’ingresso nel mondo dello spettacolo dei Gatti di Vicolo Miracoli, ovvero Jerry Calà, Ninì Salerno, Franco Oppini e Umberto Smaila.

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Infatti, facendo in un certo senso il verso ai britannici Monty Python, Arrivano i Gatti apre in maniera surreale tirando in ballo due invecchiati e grotteschi Romeo e Giulietta, per poi costruirsi a sketch unicamente dettati dalla maniera di far ridere che ha consegnato alla storia del cabaret e dell’umorismo da grande schermo il quartetto di Verona.

Una maniera di far ridere principalmente basata sui doppi sensi (si pensi solo al sottosegretario dalle fattezze del Peter Bark de Le notti del terrore) e sulle divagazioni demenziali (il supermarket nella tenda da campeggio); con la progressiva entrata in scena di un giovane Diego Abatantuono e di caratteristi del calibro di Franca Scagnetti, Ennio Antonelli e Ugo Bologna, immancabilmente nel ruolo di un commendatore.

Una maniera di far ridere apparentemente volta a concretizzare un facile spettacolo indirizzato alla fetta di pubblico molto poco esigente, ma, in realtà, più colta e raffinata di ciò che sembra.  

Perché, se da un lato non rinuncia ad una presa in giro del filone della Commedia sexy coinvolgendone direttamente la Orchidea De Santis che ne fu una delle reginette, dall’altro non risparmia neppure una critica alla mentalità eccessivamente libera di determinate popolazioni europee attraverso la divertente sequenza in cui abbiamo una famiglia di svedesi con figlio minorenne che fuma la pipa e legge Penthouse.

Famiglia con cui i protagonisti parlano menzionando titoli dei lavori di Ingmar Bergman; testimoniando – come pure il momento-parodia de I guerrieri della notte o il fugace “omaggio” a Il paradiso può attendere – il tipico citazionismo cinefilo della premiata ditta Vanzina.

Senza contare la critica ai ricchi effettuata tramite lo scompiglio (con tanto di gioco delle puzzette!!!) portato presso una festa all’interno di una lussuosa villa… nel corso di oltre un’ora e mezza di visione che, come pure l’opera precedente di cui sopra, viene resa disponibile su supporto dvd da 01.

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