Un grosso cortocircuito è invece al centro di una serie televisiva disponibile sulla piattaforma Netflix. In Bojack Horseman, giunta alla quarta stagione, non ci sono imprese eroiche, nonostante la tecnica, l’animazione, e i personaggi, animali antropomorfi, siano spesso usati per questo genere di racconti. Non è nemmeno una favola da raccontare o da mostrare ai bambini.
La storia, oltre a essere una ottima rappresentazione della frenesia dello star system, raffigura in ogni episodio l’epopea dell’uomo fallito, che si illude sulla possibilità concreta di cambiare la sua esistenza in meglio. Bojack Horseman, un cavallo di razza, ha avuto successo negli anni ‘90 con la sitcom Horsin’ Around, portandogli ricchezza e fama a dismisura. Il protagonista non è riuscito però a distaccarsi dal suo personaggio, rimanendo intrappolato in quel programma e in quel periodo. L’impressione è che sia, come si afferma in uno degli episodi, “un uomo di un’altra epoca”, isolato e incapace di riconoscere il cambiamento avvenuto attorno a lui. Tutto si muove, ma lui rimane immutato nel suo successo passato.
Bojack Horseman ha provato ad avvicinarsi, a distaccarsi da quell’illusione. Lo ha compiuto con Secretariat, il film che avrebbe dovuto rilanciarlo a Hollywood. Il passo successivo è stato al termine della terza stagione, quando la sua indole sembra emergere nel momento in cui fissa all’orizzonte la corsa di un gruppo di destrieri liberi e, usando il gergo di Gomorra, senza pensieri. Oltre a essere un attore, Bojack è prima di tutto un cavallo, e c’è stato un punto, all’inizio della quarta, in cui quella parte di lui sembra prevalere, visti i suoi fallimenti nel lavoro come nel privato. La chiamata di Diane, una delle poche persone che gli vuole bene, lo riporta nuovamente nella realtà, dal momento che è impossibile scappare via dai propri errori, ma è necessario affrontarli a muso duro. Tutto questo se di fronte si ha un “eroe” che risorge dalle proprie ceneri più forte di prima.
Non è questo il caso, perché, come da introduzione, non è un racconto per l’infanzia, con la tipica espressione “c’era una volta” ad aprire la storia. Il personaggio principale riflette in tutti i suoi aspetti le vulnerabilità dell’uomo moderno, essenzialmente egoista e incapace di relazionarsi più con il prossimo. Il suo ego, nonostante gli eventi passati, torna a prevalere sulla scena, anche quando a entrare nella sua vita c’è la giovane Hollyhock, che afferma di essere sua figlia e che lo pone al centro di un dilemma esistenziale: mettere in primo piano la famiglia o la carriera personale.
Il pregio di questa quarta stagione è di allargare lo spazio narrativo della serie, illustrando i traumi non solo di Bojack, ma anche di personaggi inizialmente caricaturali come la madre, raffigurata come la causa di ogni male del protagonista, ma che ora acquista una maggior caratterizzazione all’interno della storia. Non manca la satira, con l’autore Raphael Bob-Waksberg intento a fotografare in chiave comica (?) una relazione sempre più morbosa tra politica e spettacolo con la discesa in campo di Mr. Peanutbutter, quando quello che conta per la gente, come afferma l’attrice Jessica Biel, sono le “stronzate”, le apparenze, il sedere, e non di certo il merito, le qualità e le competenze nel risolvere le questioni di vitale importanza. Bentornati a casa.
Tutte le stagioni di Bojack Horseman sono disponibili in streaming su Netflix