Ogni 15 minuti nel mondo muore un elefante. Tragica sorte per un animale che da sempre è legato alle vicende umane. Ivory – A crime story, il documentario scritto e diretto da Sergey Yastrzhembskiy, con lucida analisi, accende i riflettori verso questo annoso problema. Sono troppi gli interessi che girano attorno all’avorio, l’oro bianco delle zanne di elefante. Religione, politica, cultura, nessuna di queste componenti intende fare un passo indietro per interrompere la deriva che sta causando l’estinzione degli elefanti. Circoscritti ormai in sole 7 nazioni dell’intero pianeta, tali mammiferi valgono più dell’oro o di qualsiasi altro metallo prezioso. Venerati in oriente, mitizzati con statue zoomorfe che ne celebrano i caratteri divini, gli elefanti sono tra gli animali che spostano gli equilibri economici in nome della cupidigia umana. Il mercato cinese è quello più prospero. Induismo e taoismo sono le religioni che insieme al cattolicesimo ricorrono più frequentemente all’avorio per amuleti e sacre effigi. In Africa, con le zanne e la carne di elefante si finanziano le dittature, le guerre civili e il commercio di armi. Un giro d’affari spropositato, che il mondo “civilizzato” cerca di sottacere volutamente. A chi importa se ogni cimelio o suppellettile d’avorio costa la vita ad un elefante. Ne vale la pena perché l’avorio è imperituro, non conosce il logorio del tempo. Con questa logica si giustifica una mattanza che Sergey Yastrzhembskiy denuncia a gran voce.
Con il documentario Ivory – A Crime Story, prodotto dopo tre anni di riprese in trenta paesi differenti, si chiarisce come al crescere della domanda di avorio l’offerta è sempre più limitata. Le conseguenze? Una ricerca affannosa verso l’oro bianco, che calpesta i diritti e la dignità di uno tra gli animali più fedeli all’uomo. Sergey Yastrzhembskiy è un ex politico russo, già portavoce di Boris Yeltsin e assistente di Vladimir Putin. La sua inchiesta nasce dalla passione per la fotografia e le riprese, unita alla sete di giustizia per ciò che è stato inflitto agli elefanti. La sua è una regia senza fronzoli, che mira ad assestare un gancio e un diretto che mettano al tappeto i benpensanti del mondo occidentale, incapaci di bloccare il criminale business dell’avorio. A cominciare dalle Ong, troppo tenere nei confronti di tale la piaga, il documentario smaschera la corruzione che dilaga nel continente africano. Corrotta dal copioso denaro asiatico, l’Africa è corresponsabile di una sciagura contro innocui e pacifici animali.
Vincitore del premio come Miglior Documentario al New York City International Film Festival 2016, Ivory – A Crime Story ha ricevuto anche il premio per la Miglior Regia e il Premio Speciale della Giuria “For humanism in cinema art” al Vues du Monde Festival de Montreal 2016. Premiato inoltre dal Roma Lazio Film Commission, il documentario di Sergey Yastrzhembskiy dimostra di essere un prodotto scomodo, che squarcia il velo del perbenismo in nome di una giusta causa. Anche il Dalai Lama dopo la visione del film ha preso atto del malaffare che gira intorno agli elefanti, e che coinvolge anche i monaci buddisti, rei di utilizzare l’avorio per gli amuleti da donare ai fedeli sotto lauta offerta. Di fatto, afferma il leader religioso: “Credo che bisogna guardare questo documentario. Mostratelo in televisione! Se chi compra oggetti in avorio scoprisse quanto soffrono gli elefanti e come il loro numero continua a ridursi, sicuramente prima di farlo ci rifletterebbe su. È un lavoro molto, molto utile”.