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‘Valerian e la città dei mille pianeti’ di Luc Besson

Con il suo budget da 200 milioni di dollari Valerian e la città dei mille pianeti di Luc Besson è uno dei film europei più costosi di sempre.

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Valerian e la città dei mille pianeti è un’opera basata sulla serie cult a fumetti Valérian et Laureline di Pierre Christin e Jean-Claude Mèziéres. Si tratta di una pellicola che oltre a rappresentare per Luc Besson un sogno nel cassetto coltivato fin da quando era bambino, almeno sulla carta, avrebbe dovuto essere il primo atto di una trilogia che sembra  improbabile.

Al 2 ottobre 2023 in classifica su Netflix.

La recensione del film

Il film non è il disastro che le first reaction statunitensi hanno lasciato intendere. Se la scrittura di Besson – unico titolare della sceneggiatura – risulta infatti fin troppo elementare e, alla fine, stipa buona parte dei (troppi) 137 minuti di film di dialoghi su come l’amore possa salvare l’universo, gli spunti visivi sono notevoli, ricchi di quella vitalità colorata e ribelle tipica dell’autore francese che non può non rievocare i fasti de Il quinto elemento.

Il film parte benissimo, con l’ouverture/omaggio a Bowie di Space Oddity a fare da colonna sonora ad una serie di ellissi temporali utili a parlare di molti temi. Ne citiamo alcuni: la storia dei nostri viaggi nello spazio, l’incontro con altre forme di vita e, come diretta conseguenza, la genesi di Alpha, una metropoli in continua espansione la cui popolazione è composta da migliaia di specie diverse da tutti gli angoli dell’universo.

Subito dopo l’introduzione dei due anodini (mini)eroi interpretati da Dane DeHaan e Cara Delavingne, Besson si instrada sul facile percorso dell’avventura intergalattica, senza però uno script che metta in evidenza né i lati più ridanciani della faccenda né, tanto meno, quelli più distopici e dark. Le reiterate scaramucce amorose tra Valerian e Laurelin non contribuiscono a migliorare le cose.

Gli eccessi che traspaiono dal cinema post-Léon di Luc Besson

Valerian soffre, in buona sostanza, dei difetti che affliggono quasi tutto il cinema post-Léon di Luc Besson e che sono sintetizzabili sotto un unico termine ombrello: l’eccesso. Besson eccede sia in budget che in minutaggio, ma non solo. Laddove infatti una trama così lineare non richiederebbe alcun tipo di “spiegone”, invece Besson riesce ad inserirne molteplici, spesso non necessari, con il risultato che quasi tutti i dialoghi somiglino a quelli visti in certe soap opera. La componente testuale del film va dunque in direzione decisamente opposta e contraria alle sue mirabilie estetiche, sebbene alla fine siano senza dubbio queste ultime a prevalere. Dinanzi a una tale cura dei dettagli visivi, anche minimi, si riesce addirittura a soprassedere su una storia anni ’90 e sui suoi protagonisti così svogliati e fuori fuoco.

Si comporta decisamente meglio il reparto dei comprimari con, in prima fila, un divertito Ethan Hawke/pappone intergalattico e il villain Clive Owen. Piace anche Rihanna, che Besson riesce a piegare alle proprie esigenze narrative senza snaturarne la valenza finemente pop, ma anzi cavalcandola con un ruolo di un’aliena dalle capacità fisiche camaleontiche.

Valerian e la città dei mille pianeti non è quindi un brutto film. Forse è solo sbagliato, ma più nelle tempistiche produttive che nella forma. Fosse uscito una decina di anni fa – diciamo subito dopo Avatar, quel sentore di déjà-vu di sicuro si sarebbe fatto sentire meno. Resta il fatto che vedere un blockbuster con un tale coefficiente di spettacolarità provenire da oltralpe anziché da Hollywood fa comunque un certo effetto. Chapeau!

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