Teo (Adriano Giannini) conduce una vita frenetica, è pubblicitario e all’insegna della menzogna fedifraga. Ogni tanto si giostra tra una serata di sesso con la maritata Stefania (Valentina Carnelutti) e con le decisioni per il weekend con la fidanzata Greta (Anna Ferzetti), che non ha mai conosciuto la famiglia dell’uomo. Un giorno, Teo incontra Emma (Valeria Golino), omeopata non vedente, e da subito si sentono attratti l’uno dall’altra. Iniziano una relazione, ma la tela di bugie che l’uomo ha creato attorno a sé e al suo privato comincia pian piano a sfilacciarsi.
Il colore nascosto delle cose, ultimo film di Silvio Soldini, presentato fuori concorso a Venezia e da ieri nelle sale, racconta due tipi diversi di cecità. Quella di Emma, che ci convive dall’età di diciassette anni, la quale, però, non le ha impedito di laurearsi e svolgere un lavoro dove il tatto e l’udito sono preponderanti rispetto agli altri sensi. E quella di Teo, ovvero una cecità interna, relazionale, atta a far soffrire gli altri perché la sua vita, fin dall’infanzia, deve metabolizzare le faccende in sospeso con la madre e i fratellastri.
Se nel sirkiano Magnifica ossessione, Rock Hudson si finge un’altra persona davanti a una non vedente Jane Wyman, in Soldini troviamo la stessa complementarietà con Teo e Emma. Naturalmente ci sono le differenze, perché il personaggio di Giannini risulta criptico ben prima di conoscere la donna. Hudson mente a Wyman perché conscio di ricevere affetto solo con la menzogna; Teo mente a Emma (e Greta) perché è la sua indole, il suo vissuto, la sua croce patologica. Quando Greta comincia a sospettare qualcosa per via delle sue numerose assenze domestiche, Teo si giustifica dicendo di fare assistenza a una donna cieca bisognosa di aiuto. Finendo, poi, nella condizione che dovrebbero meritarsi i soggetti con tali peculiarità: la solitudine. Essa, però, viene scalfita nel momento in cui la giovane Nadia (Laura Adriani), cui Emma dà ripetizioni di francese, si reca dall’uomo per dargli conferma dei sentimenti immutati verso la donna.
Apprezzabile il fatto che il finale non sia per forza in linea con i melodrammi americani degli anni Cinquanta, ma un semplice effetto circolare: il film inizia e finisce allo stesso modo, con dialoghi su schermo nero. Lasciandoci in una situazione che può prevedere sia cambiamento che staticità, allo stesso modo delle relazioni quotidiane. Ti trovi, ti separi, ti ritrovi e così via.
Valeria Golino, in un’ottima interpretazione, trasmette a pieno regime il dramma della sua condizione durante la scena del supermercato, quando viene abbandonata da Giannini, e la camera in una falsa soggettiva (con sfondo sfocato) la rincorre tra gli scaffali. Un dolce, inquietante, tremendo, disperato disorientamento, nonché conferma di un abbandono tanto fisico quanto sentimentale.
Nota di merito per la brillante Arianna Scommegna, interprete dell’elettrica Patti, amica vicentina di Emma, a cui va la frase migliore del film: «Se l’amore è cieco, Cupido è ipovedente».