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Venezia 74: Ammore e malavita, il terzo lungometraggio italiano in competizione, diretto dai Manetti Bros. (Concorso)

Un applauso fragoroso ha accolto la proiezione di Ammore e malavita, terzo lungometraggio italiano della selezione principale e diretto dai fratelli Manetti. I due registi hanno voluto rendere omaggio a Napoli e alla sua iconografia genuina

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Un applauso fragoroso ha accolto la proiezione di Ammore e malavita, terzo lungometraggio italiano della selezione principale e diretto dai fratelli Manetti. I registi hanno voluto rendere omaggio a Napoli e alla sua iconografia genuina, ma specificando che nella città: «Non accade solo questo. Quello che succede, succede solo nella nostra storia».

Claudia Gerini compare nella prima scena parlando con accento marcato, mentre piange affranta su di una bara. E subito partono le prime risatine dalla platea: «Cominciamo bene», commenta qualcuno nel buio. Invece, la visione è stata una sorpresa, in un continuo rimando tra intermezzi cantati, coreografie colorate, crude sparatorie, dialoghi spassosi e riferimenti pop.

La storia è su un amore del passato, poi ritrovato, tra Ciro (Giampaolo Morelli), serial killer al servizio del boss camorrista don Vincenzo Strozzalone detto “o’ re du pesce” (Carlo Buccirosso), e Fatima (Serena Rossi), giovane infermiera. Si aggiungono, poi, donna Maria (Claudia Gerini), moglie astuta del malvivente, e Rosario (Raiz, voce solista di Almamegretta), sicario al servizio di questi ultimi ed ex collega di Ciro, col compito di uccidere i due innamorati: lei, perché testimone scomoda della finta morte di don Vincenzo, inscenata per evitare le ritorsioni di un clan rivale; lui, per tradimento, in quanto non ha portato a termine il compito ordinatogli del boss, quello di eliminarla. Ha così inizio una disperata fuga per guadagnarsi la salvezza.

Sulla carta, Ammore e malavita può sembrare il tipico film camorrista, un po’ noiosetto, dove la novella coppia di Romeo e Giulietta partenopei deve costantemente riconfermare il loro amore, schivando proiettili e coltellate. Sorprendentemente, il prodotto è risultato godibile e divertente, grazie agli intermezzi cantati: alcuni veri e propri gioiellini, espressioni di un’artigianalità che non sembra vedere alcun tramonto, almeno per i Manetti, seppur con i suoi limiti, presenti nel montaggio e nella fotografia. Forse con la pecca di partire da una messa in scena troppo in debito con la televisione, vedi Coliandro, altro progetto di successo dei fratelli con protagonista lo stesso Morelli.

Tutto sembra improvvisato, non ti aspetteresti brani come Scampia Disco Dance, cantata da un gruppo di turisti americani perché rimasto estasiato da uno scippo presso le Vele, la conclusione massima di una vacanza in Italia, per loro. Oppure La canzone della serva, interpretata da una scatenata Claudia Gerini, in versione ancor più tamarra della Jessica di Viaggi di nozze. Ma, forse, uno dei punti massimi viene raggiunto con L’amore ritrovato, rivisitazione del pezzo di Giorgio Moroder e Irene Cara Flashdance… What a Feeling, dove Serena Rossi si ripropone come surrogato di Jennifer Beals, senza body nero e piedi scalzi, ma dal vago aroma di ragù napoletano. Con coreografie curate da Luca Tommassini.

Inoltre, le citazioni cinefile, sia suggerite che esplicite, si sprecano: da Gomorra a James Bond; da Nessuna pietà a Panic Room, passando per i film di Mariano Laurenti e Romano Scandariato con Nino D’Angelo, come le parti filmate a Manhattan, sulla scia rievocatrice di Uno scugnizzo a New York; o l’intermezzo canoro girato a Piazza del Plebiscito, virato su un omaggio a Mario Merola. Fino ai modellini di celebri vetture cinematografiche come Herbie il maggiolino tutto matto, la DeLorean di Doc Brown e la Ecto-1 dei Ghostbusters.

Particolare attenzioni vanno a Carlo Buccirosso, re delle cozze, con un proiettile nelle terga, e Claudia Gerini, fresca di parrucchiere, che conducono un dialogo esilarante sui nomi falsi dei passaporti, scelti da lei, per un’imminente fuga dall’Italia: «Ho cambiato il tuo cognome da Strozzalone a Ranieri», «Come il cantante?», «Ma no! Come u’ principe di Monaco! Io, invece, ho scelto Grazia Chelli». Entrambi in ottima forma. Un po’ più sottotono Morelli. Rossi, invece, risulta energica, solare, scatenata.

Un prodotto, insomma, che in una selezione come questa di Venezia, è stata accolto con piacere e leggerezza. Due ore abbondanti di pura, genuina, traboccante napoletanità. Ma, nonostante si continui a ridere, il Leone d’Oro è ancora lontano.

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